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New York City. Diario di viaggio in cinque racconti. 5° racconto

In questa nostra ultima tappa toccheremo con occhi quei simboli della Grande Mela che comunità e uomini illuminati le hanno corrisposto in cambio del sogno.   

New York City (NY), Stati Uniti.

Quando si pensa alla Grande Mela il pensiero corre subito ai grattacieli svettanti di Manhattan, alla distesa verde di Central Park, ad un palcoscenico di Broadway. Ma il sangue di New York scorre anche in quei quartieri che si nutrono di vita. Un cuore che pulsa di appartenenza, comunità, resilienza e accoglienza.

Harlem

Uno di questi è sicuramente Harlem. Si trova nella parte settentrionale dell’isola di Manhattan, circoscritto dal fiume Harlem, Central Park North, la Quinta Strada e il fiume Hudson. Entrò a far parte della città di New York nel 1873 e all’inizio del XX secolo il quartiere iniziò ad essere popolato dalla comunità africana. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Harlem attirò molti immigrati ispano-americani e con il passare degli anni divenne, purtroppo, il quartiere più malfamato, povero e pericoloso di tutta l’isola.

Dagli anni ’50 Harlem divenne un vero e proprio ghetto, dove crimine e droga implodevano per le strade del quartiere. Ma si sa, la crisi genera reazione. L’isolamento civile e sociale in cui versava, circolo vizioso di comunità fragili e strattonate, ha dato ossigeno alle numerose battaglie sui diritti civili condotte dalla popolazione di colore. Il tentativo di recidere catene e aprire cancelli esacerbò la marginalizzazione di tutta quest’area, nutrita dal disprezzo da parte degli americani bianchi.

A partire dalla fine degli anni ’90, Harlem ha iniziato a cambiare veste, spogliandosi delle macchie e del tanfo che per troppo tempo ha indossato. Da allora il quartiere ha vissuto un periodo di sviluppo economico e sociale che ha contribuito alla rivalutazione dell’area e a un vero e proprio boom immobiliare.

Il suono di Harlem

Dagli anni ’20 Harlem fu il cuore di un movimento culturale e artistico che ha composto  sound musicali come il jazz o l’hip hop. Difatti, una delle attrazioni da non perdere durante una sua visita, è sicuramente il famoso Apollo Theater. Un teatro che ha aperto il sipario ad artisti di calibro mondiale come Ella Fitzgerald, Louis Armstrong e Michael Jackson.

La sua storia e il suo percorso culturale trovano espressione nei diversi musei in cui si fondono lotta, integrazione e arte.  Ne sono un esempio El Museo del Barrio che raccoglie svariate opere d’arte legate all’America Latina, il The Studio Museum, dedicato alle opere d’arte contemporanee create dagli artisti afroamericani e il National Jazz Museum per preservare e promuovere la musica jazz.

Le messe gospel e le chiese battiste

Una chicca che non tutti sanno è che ad Harlem è possibile assistere ad una messa gospel. L’unicità dell’emozione la rende adatta anche a coloro che non sono religiosi, in quanto si discosta completamente dalle messe alle quali siamo abituati. Ogni domenica mattina dalle ore 11:00 e per quasi due ore, in questi santuari musicali e spirituali non ci sono rosari da sgranare o peccati da espiare. Ciò che si celebra è l’impegno sociale, la crescita personale, la preghiera che l’uomo po’ rivolgere a se stesso e al prossimo affinché la grazia terrena possa attecchire nella terra che si calpesta.  

La Riverside Church

Tra le varietà di chiese che puntellano il quartiere, suggerisco senza indugio la Riverside Church, la chiesa più alta degli Stati Uniti.  Già i suoi esterni sono di una bellezza ‘divina’. Ideata dall’industriale e filantropo John D. Rockefeller Jr., l’edificio è ispirato alla cattedrale gotica del XIII secolo di Chartres, in Francia e la sua torre gotica si erge come un faro che guida le anime nel loro cammino di vita. Qui la funzione religiosa proclama la sua funzione sociale.

Appena varcato l’ingresso sarete teletrasportati in un’atmosfera trascendentale. Con tipico assetto neogotico, l’alto soffitto in volte a crociera e forme acuminate, confonderà i vostri occhi nel riuscire a catturare i dettagli in uno spazio immenso ed immersivo, stropicciati dalle luci che filtrano attraversano grandi vetrate colorate.

Da che pulpito!

Di fronte a voi non ci sarà un altare, ma un palcoscenico. Lo spettacolo di Dio inizia con la celebrazione dell’armonia del suono. Un musicista occupa il centro dell’altare mentre fa vibrare corde di un contrabbasso che oscillano nella navata centrale di oltre 2000 posti.

Tutti sono i benvenuti. La congregazione comprende più di quaranta gruppi etnici. Non ci sono differenze economiche, sessuali, e culturali da dover confessare.

Qui non si predica la parola di un Dio che guarda giudicante l’uomo dall’alto. Qui i membri sono chiamati a una qualità di vita individuale e collettiva che conduca alla trasformazione personale, spirituale e sociale, testimoniando concretamente i propositi salvifici di Dio. Educare, riflettere e agire in nome della pace e della giustizia, per realizzare una tavola rotonda ‘celestiale’ in cui tutti sono protagonisti del cambiamento.

Quelle pareti urlano di rivoluzione, di attivismo, di cambiamento e di reazione. Su quel pulpito sono saliti Chávez, Fidel Castro, Nelson Mandela, Kofi Annan e Channing E. Phillips, leader del Movimento per i diritti civili, primo afroamericano ad essere votato come candidato presidenziale. Qui il 4 aprile 1967 si diffuse il verbo di Martin Luther King Jr. contro la guerra in Vietnam, con il suo discorso Beyond Vietnam: A Time to Break Silence.

Il ponte di Brooklyn. Una meraviglia ingegneristica

Inaugurato nel 1883, il ponte di Brooklyn collega i quartieri di Manhattan e Brooklyn a New York City.

La sua storia risale ad un’epoca di innovazione ingegneristica e di rapido progresso e industrializzazione, simbolo dello spirito combattivo e lungimirante di una Nazione che stava conquistando il suo posto nel mondo.

L’eleganza e la resistenza sono collegate dai suoi stessi ‘bracci’ e sono frutto del genio di John A. Roebling, ingegnere di origine tedesca che studiò architettura e idraulica, specializzandosi in costruzione di ponti a Berlino. Emigrò negli Stati Uniti nel 1831 per farsi un nome e cercar fortuna. Dopo un anno iniziò la carriera come ingegnere civile. La sua innovazione ebbe inizio con l’intuizione di sostituire la canapa utilizzata per trainare le barche, perché troppo costosa e poco affidabile. Pensò di propendere per corde fatte di fili di ferro, sicuramente più resistenti e durevoli. Roebling brevettò la sua invenzione nel 1842, divenendo milionario soprattutto come costruttore di ponti realizzati in cavi d’acciaio. 

Le città di New York e Brooklyn, dopo la Guerra Civile, erano in piena espansione. Solo l’East River contava settanta milioni di traversate all’anno.  Per alleviare la congestione del fiume, i funzionari statali presero in considerazione la possibilità di costruire un ponte. E a chi affidare i lavori se non all’ingegnere più illuminato a disposizione? L’opera che propose non poteva e non doveva essere solo utile. Voleva realizzare il più grande ponte sospeso del mondo, espressione dell’armonia di forze contrapposte ma complementari. Contrastato da molti come un rischioso e spavaldo esperimento, il lavoro di Roebling si concluse inaspettatamente nel 1869, anno in cui morì a seguito di una lunga agonia causata dal tetano.

La sua opera fu presa in eredità dal figlio Washington. Il giovane Roebling conosceva la posta in gioco. Un progetto riuscito avrebbe consacrato il successo di suo padre. Il fallimento sarebbe stato solo sulle sue spalle.

Il ponte fu completato nel 1883 e il suo primo giorno, il 24 maggio, accolse circa 150.000 persone e 1.800 veicoli.

Il ponte di Brooklyn è la definizione della fiducia e dell’ottimismo americano, saldamente tenuti in piedi fin dalle sue origini, come testimoniato anche dall’impresa “elefantiaca” del circense Barnum che nel 1884 vi fece sfilare 21 elefanti e 17 cammelli, pubblicizzando abilmente il circo e dissipando al contempo i timori del pubblico sulla stabilità del ponte, dimostrandone la resistenza duratura.

Ancora oggi attraversarlo significa vivere e trasmettere un messaggio. In ogni sua angolazione creerà un ‘ponte’ tra voi e tutto ciò che New York rappresenta. La sua sofferenza, i suoi sforzi, le sue idee, la sua creatività e la sua creazione. Da decenni è una popolare via di protesta, dalle marce delle suffragette per i diritti delle donne all’inizio del XX secolo, alle lotte per i diritti civili negli anni ’60 e, più di recente, al movimento Black Lives Matter.

I suoi archi gotici attraversano non solo un fiume ma anche la storia.

La  Statua della Libertà

Il nostro viaggio non poteva che concludersi con Lei. Lady Liberty.

Un’icona, un tesoro nazionale e una delle figure più riconoscibili al mondo. Ogni anno milioni di persone si mettono in viaggio per vivere di persona la sua storia e la sua grandezza. Lei E’ la Statua. Della libertà, dell’ispirazione e della speranza.

La sua nascita

Era il 1865 quando il francese Édouard de Laboulaye durante una proclamazione propose l’idea di presentare un dono monumentale da parte del popolo francese al popolo degli Stati Uniti. Ardente sostenitore dell’America, Laboulaye desiderava commemorare  il centenario della Dichiarazione d’Indipendenza e celebrare lo stretto rapporto tra Francia e America. Tale trasporto emotivo derivava anche dalla recente abolizione della schiavitù americana in nome della libertà e dell’uguaglianza.

Lo scultore Frédéric-Auguste Bartholdi, presente alla proclamazione di Laboulaye, decise di trasformare le idee in sostanza, ed intraprendere l’impresa  della costruzione di quell’opera che avrebbe puntato un faro su un paese, un popolo, una speranza, un ideale: ” La Libertà che illumina il mondo“ . La sua idea racchiudeva molto simbolismo: la corona rappresentava la luce, con le punte che evocavano i raggi del sole protesi al mondo; la targa, con la data del 4 luglio 1776 in numeri romani, che ricordava l’indipendenza americana. Per testimoniare la fine della schiavitù, Bartholdi pose una catena e delle catene rotte ai piedi della statua.

Finanziare il sogno

Il progetto prevedeva una suddivisione diplomatica dei compiti. La Francia si sarebbe occupata della creazione della Statua e del suo assemblaggio negli Stati Uniti, mentre il popolo americano avrebbe finanziato e costruito il piedistallo. I due paesi, per raccogliere i fondi necessari, ricorsero a varie forme di intrattenimento, lotterie, eventi teatrali di beneficenza, mostre d’arte, aste e combattimenti a premi. Nel progetto intervenne addirittura Pulizter che, per incentivare l’interesse – soprattutto monetario – dei cittadini,  pubblicò un annuncio sul suo giornale, il New York World, invitando i lettori a donare per la causa. In cambio, avrebbero letto il proprio nome sul giornale. Presto detto.  120.000 persone donarono oltre 100.000 dollari.

La sua creazione

Nel frattempo, in Francia, Bartholdi aveva bisogno dell’assistenza di un ingegnere per risolvere i problemi strutturali associati alla realizzazione di una scultura in rame così colossale. Venne precettato Alexandre Gustave Eiffel, poco prima di realizzare la sua celebre Torre, affinché progettasse l’imponente pilone in ferro e lo scheletro che avrebbe consentito alla struttura della Statua di muoversi autonomamente pur mantenendola in posizione verticale. Il ‘corpo’ di Lady Liberty fu completato nel luglio del 1884. Ora attendeva solo di attraversare il mare che la separava dalla sua casa.

Per il viaggio transatlantico a bordo della fregata Isère, la struttura fu ridotta in 350 pezzi. Solo dopo il completamento del piedistallo, il 28 ottobre 1886 il presidente Grover Cleveland diede il via all’inaugurazione della Statua della Libertà davanti a migliaia di spettatori.

La torcia originale della Statua della Libertà

Negli anni ’80, in occasione delle opere di ristrutturazione per il suo centenario, un team di esperti stabilì che la torcia originale non poteva essere restaurata. Cento anni di interventi strutturali l’avevano radicalmente alterata, facendo emergere prevalentemente la sua componente in vetro. La corrosione degli agenti atmosferici avevano contribuito a danneggiarla irreparabilmente in corrispondenza dell’impugnatura. Fu così deciso di rimuoverla il 4 luglio 1984 e di sostituirla con una replica.

Oggi la torcia originale è esposta nella Inspiration Gallery del Museo della Statua della Libertà.

Il suo messaggio

Il significato e la rilevanza che i suoi ideatori, i suoi realizzatori, i suoi spettatori e i suoi seguaci le hanno cucito addosso si sono evoluti nel tempo. Forse la più nota è l’associazione ideale con l’accoglienza delle “masse ammassate“, grazie anche alla targa con l’incisione “The New Colossus”  posta sul piedistallo. Un messaggio che divenne fonte di ispirazione per gli immigrati che la costeggiavano poco prima di mettere piede nella terra promessa.

Avvicinarsi a questa divinità ‘emersa’ dalle acque rappresenta di per sé un viaggio. Tagliare la distanza con Lei è come vincere l’attesa di un appuntamento che aspetti da sempre. La conosci e te ne innamori. Nella sua ferma dignità, il suo sguardo cattura la mente. La fiamma della sua torcia illumina i pensieri che si trasformano nella speranza di poter ricominciare, in idee per il futuro, in sogni senza tempo. Un colpo di fulmine che fa desiderare di rivederla ancora. O di trascorrere tutta la vita insieme.

Noi ci siamo guardate. So che Lei sarà lì ad aspettare il mio ritorno.   

Leggi anche: New York City. Diario di viaggio in cinque racconti. 1° racconto

Leggi anche: New York City. Diario di viaggio in cinque racconti. 2° racconto

Leggi anche: New York City. Diario di viaggio in cinque racconti. 3° racconto

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Photo Carmen Marinacci

Carmen Marinacci

Carmen Marinacci

Campana di origine ma abruzzese di adozione. Vive a Montesilvano in provincia di Pescara, dove ama godere delle luci del mare in ogni stagione. Laureata in Giurisprudenza con un Master in indagini scientifiche nel settore agroalimentare. Appassionata di libri, scrittura, viaggi e cinema, ha frequentato un seminario di formazione per critica cinematografica presso la Fondazione del regista Marco Bellocchio, ha partecipato a diverse giurie per la selezione di film in concorso a vari Festival nazionali e scrive per web magazine di informazione ed approfondimenti cinematografici. Costantemente in viaggio, ama respirare ciò che si cela dietro la scoperta di culture e scenari sempre nuovi. Attraverso la scrittura ama condividere tutto ciò che muove la sua curiosità, portando il lettore in un cinema, in musei, in piazze, in borghi di provincia o in paesi lontani.

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