Dal 20 al 25 marzo, al Teatro Filodrammatici di Milano va in scena “Disgraced”, opera teatrale del drammaturgo statunitense, di origine pakistana, Ayad Akhtar, vincitore nel 2012 del Joseph Jefferson Award, e nel 2013 del Premio Pulitzer for Drama e dell’Oble Award.
Milano, Italia.
Il sipario si apre su un dipinto di Diego Velàzquez. O meglio, Emily, pittrice newyorchese amante dell’arte islamica, è intenta a dipingere il ritratto di suo marito Amir, un ricco avvocato finanziario di origini pakistane. Emily si sta inspirando al celebre quadro di Diego Velàzquez, “Lo schiavo”, in cui il pittore spagnolo ritrae Juan de Paresu, tela esposta al Metropolitan Museum di New York.
Racconta lo storico e critico d’arte Antonio Palomino nel 1724, nelle sue “Vite dei pittori spagnoli”, : “il dipinto è elogiato da tutti i pittori provenienti da diversi paesi che dicono che le altre immagini della mostra siano arte, mentre questa sola è verità“. Velázquez, dipinse uno suo schiavo in una maniera assolutamente inedita per quei tempi: grazie alla sua arte pittorica arrivò a restituire non soltanto l’aspetto, ma il carattere stesso del suo servitore. Con una verità che gli permise, al di là delle barriere sociali, di mostrare prima di tutto l’ “uomo” e non lo schiavo.
Torniamo alla pièce teatrale di Akhtar. Protagonista è Amir Kapoor, pakistano educato e cresciuto in America (come lo stesso, Ayad Akhtar), che vive in modo contraddittorio le sue origini. Siamo nel clima post-post 11 settembre e per Amir appartenere ad una famiglia medio orientale anche se nato in America, è percepito come un rischio per la propria carriera e reputazione sociale. Così Amir, non solo non ostenta il suo essere pakistano ma in parte lo nasconde cambiando perfino cognome e criticando apertamente i principi della religione islamica salvo poi farli emergere con violenza nel momento di un acceso confronto con una coppia di amici.
Un altro personaggio chiave della piéce è Abe, il giovane cugino che chiede ad Amir di intercedere in tribunale per un iman accusato di terrorismo. E così Amir rientra giocoforza in quel mondo prima da lui rifiutato, assumendo su di sè tutti i pregiudizi che una tale accettazione porta tragicamente con sè. Il suo dramma sfocerà in quella stessa violenza, prima da lui tanto criticata, travolgendo tutto ciò che aveva ottenuto in anni di sacrifici.
Quando lui e la moglie decidono infatti di invitare a cena il curatore d’arte Isaac (di origini ebraiche) e sua moglie Jory (afroamericana), le questioni politiche e religiose emergono con inaspettata prepotenza.
La cena diventa così un vero e proprio campo di battaglia in cui si scontrano pregiudizi e ipocrisie. Il tutto circondati da uno spazio scenico neutro, bianchissimo, a esprimere l’eleganza newyorkese tanto patinata quanto fragile costruzione di un’apparenza sociale.
Il testo di Akhtar ruota intorno ai temi, di fortissima attualità, della tensione fra le fedi religiose e della difficile e pur necessaria convivenza fra le diverse identità etniche. Esiste una possibile apertura alla comprensione reciproca nonostante le differenze religiose ed etniche?. Nella piece gli eventi si piegano uno sull’altro scontrandosi poi in un finale tragico e, all’apparenza senza alcuna via d’uscita, se non forse in una più schietta, onesta e autentica visione prima di tutto di sè stessi.
Emily, alla fine ammetterà la sua colpa di moglie infedele e la sua “ingenuità” artistica ( e non solo artistica) e il gesto finale di Amir, che guarda per la prima volta il ritratto eseguito dalla moglie, sembra un ritorno all’origine: al quel dipinto di Velàzquez ( e di Emily) che voleva andare oltre i pregiudizi e l’apparenza. Forse la sola via d’uscita è in noi stessi, nella necessità di comprendere ciò che si è veramente, guardandosi dentro e non attraverso gli occhi degli altri.
La prima versione di Disgraced aveva aperto la stagione dello Stabile di Torino per la regia dell’austriaco Martin Kušej e la traduzione di Monica Capuani. La versione in scena ora ai Filodrammatici e prima al Teatro India di Roma, coprodotta dal Nazionale romano con il Teatro della Tosse è una versione tradotta e diretta da Jacopo Gassmann.
Disgraced di Ayad Akhtar | traduzione e regia Jacopo Gassmann | con Hossein Taheri, Francesco Villano, Lisa Galantini, Saba Anglana, Marouane Zotti | luci Gianni Staropoli | scene Nicolas Bovey | costumi Daniela De Blasio | assistente alla regia Mario Scandale | produzione Fondazione Luzzati/Teatro della Tosse onlus, Teatro di Roma Teatro Nazionale.
Fino al 25 marzo,
Teatro Filodrammatici, Milano
www.teatrofilodrammatici.eu
Anna Alemanno