Da sempre scrivo per passione, ed è anche il mio lavoro. Per raccontare cose che andrebbero perse, per cercare il meglio dell’essere umano. Suddiviso in 4 supersteps, il viaggio alla ricerca delle mie radici borboniche è a Napoli; visitata per lavoro, stavolta è diverso: in fondo, nel quartiere Chiaia, ci sono nata.
Il periodo natalizio è forse quello in cui la città si svela con maggior forza, affascinando il visitatore con le sue storie che sorprendono e divertono, con una realtà che sembra fantasia. Scopriremo invece che quello della festa altro non è che il suo vivere quotidiano: una dimensione che ha tanto di “classico” e comincia a tavola, ai cui piaceri ci esortavano i poeti dell’antichità.
Napoli, Italia.
Per l’ospite, un punto di vista inedito di Napoli è quello di chi a Napoli ci vive. Proviamo anche noi, avvicinandoci con circospezione a un luogo che intimorirebbe chiunque, perché ha a che fare con le infuocate viscere della Terra. Si tratta di Campi Flegrei, la gigantesca solfatara, che condivide col Vesuvio il mistero e il carattere imprevedibile, ma non la parentela geologica. Un altro sguardo insolito è quello con cui ammirare la Costiera dalle alture di Lettere, mentre gli appunti di viaggio si arricchiscono di frammenti imperdibili e la memoria sa di dolce, il tutto con un tratto di snobistica nonchalance, come si conviene al borbonico lignaggio
Campi Flegrei

Sopra li sbuffi della solfatara a Bacoli.
Foto grande in alto, “Cartolina” di Napoli.
Ai Campi Flegrei le presenze vulcaniche non solo le riconosci nell’aria che respiri, ma spuntano da tutte le parti. Letteralmente. In particolare, nella zona di Bacoli, quello che da lontano potrebbe sembrare fumo da stoppie bruciate è il vapore bollente proveniente dalla solfatara sottostante. Emerge così, dal ciglio delle strade. Se ti avvicini un po’ e appoggi una mano per terra, senti che è tepida e scopri nel muschio gialli cristalli di zolfo. Il vapore emerge anche dall’asfalto: da qualche tempo è normale e le automobili non lo evitano nemmeno.
Costiera Amalfitana

Il castello di Lettere.
In Costiera per una volta ci concediamo il lusso di “dar per scontate” le bellezze del mare e gli agrumeti. Il primo step è Gragnano, il paese della pasta e del vino. Ci dirigiamo poi verso il castello di Lettere, il cui territorio apparteneva alla Repubblica Marinara di Amalfi. Dall’839 d.C. il nucleo originario venne ampliato fino al 1259 d.C. ed è notevole quanto insolito il campanile di epoca normanna realizzato a tarsia di tufo grigio e arenaria gialla.

Il golfo di Sorrento dalle alture di Lettere.
Da quassù, riempie completamente lo sguardo il panorama strepitoso del golfo di Sorrento: da un tramonto caliginoso emerge la distesa di paesi ai piedi di un Vesuvio davvero imponente, finchè si rivela una zona meno densa di abitazioni: sono gli scavi di Pompei.
Frammenti imperdibili

Archivio di Stato.
Questi sono frammenti di viaggio e di emozioni da non dimenticare. (La Befana porta con sé il dolce del ricordo e il carbone del… ritorno. NON LO METTEREI)

I miti: Maradona.
Sfilano la “cartolina” di Napoli e il lungomare Caracciolo; l’Archivio di Stato dove ho cercato i documenti della mia famiglia; il cibo di strada e i detti filosofici di Eduardo; le architetture ottocentesche e il centro commerciale firmato da Renzo Piano; i miti cittadini e le canzoni appese ai fili della luce; le persone gentili e l’empatia sincera; il mare di Capri, Ischia e Procida; il Vesuvio che per giorni ha fatto finta di fumare e un castello che non era Glastonbury né uscito da un fumetto fantasy.
Napoli

Specialità di Scaturchio.
Vabbé, a proposito del famoso detto: “vedi Napoli e poi muori” non avevano poi tutti i torti. Nel senso che qui c’è qualcosa di molto particolare, che ti porta a vedere altri luoghi come fossero slavati, come se dopo questa esperienza non ti occorresse altro.
Non voglio “entusiasmarmi” troppo, come raccomandano da queste parti, ma entusiasmo è la parola più adatta per descrivere l’abitudine del Napoletano alla bellezza, la condizione vitale che ti impedisce di abdicare al gusto, sia in senso proprio, sia in senso lato.

Il babà a forma di Vesuvio.
E’ tempo di partire e per il viaggio di ritorno qualche tarallo servirà da genere di conforto. Ma prima ci accoccoliamo ancora un po’ nei bei modi della gente comune. Ma il migliore arrivederci è assaggiare le specialità di Scaturchio: la frittatina, la graffa (libera traduzione dal teutonico krapfen), la zuppetta al millefiori (più austeramente nota come diplomatico) e il ministeriale, una delizia, questa sì davvero borbonica, di sottile cioccolato dall’interno morbido con accenti di nocciola e di ruhm sapientemente dosati.
Poiché il film concludeva che “non si può morire mangiando” il babà a forma di Vesuvio resta in vetrina, ma chiude in dolcezza.
Photo Paola Biondi