Quaranta scatti di Alessandro Grassani esplorano i confini del mondo, nei luoghi in cui il cambiamento climatico costringe la popolazione a vivere nella paura e negli stenti. Le loro storie, raccontate visivamente dal fotografo, spingono ad aprire gli occhi di fronte a fatti troppo spesso dimenticati, e soprattutto richiamano il senso di responsabilità di ciascuno di noi, chiedendo di non restare indifferenti. Appuntamento al Museo Diocesano di Milano dal 18 febbraio al 27 aprile.
Milano, Italia.
Dal 18 febbraio al 27 aprile 2025, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano presenta la mostra fotografica Alessandro Grassani. Emergenza climatica. Un viaggio ai confini del mondo, a cura di Denis Curti, che attraverso una quarantina di scatti, articolati in quattro capitoli (Mongolia, Bangladesh, Kenya, Haiti), si focalizza sulla migrazione climatica, che in tutto il pianeta costringe uomini e donne ad abbandonare il proprio stile di vita ancestrale per un futuro incerto nelle città.

Trovare un luogo per sopravvivere al riscaldamento globale
In un pianeta sempre più urbanizzato, i cambiamenti climatici cancellano terre fertili, sommergono villaggi e spezzano legami antichi, riscrivendo il destino di intere comunità.
Dall’estremo freddo della Mongolia alla siccità in Kenya, fino alle inondazioni e all’innalzamento del livello del mare in Bangladesh e Haiti, il fotografo evoca visivamente un futuro prossimo in cui l’umanità lotta per trovare un luogo dove sopravvivere agli effetti del riscaldamento globale, rappresentando in modo diretto ed empatico le sorti delle persone coinvolte.
Gli scatti
Protagonisti degli scatti sono pastori, agricoltori e pescatori che appaiono stremati dalle avversità ambientali, costretti a cambiare il proprio stile di vita, spesso tramandato da generazioni, e a trasferirsi nelle città in cerca di mezzi di sussistenza alternativi, destinazioni che spesso deludono le loro aspettative, condannate a infrangersi a causa della mancanza di risorse, competenze e opportunità.

Le parole del curatore Denis Curti
“Ho guardato le fotografie di Alessandro – afferma Denis Curti, curatore della mostra – con una forte propensione ambientalista….e devo dire che, subito, ho spostato la mia attenzione su altro. Da un’attesa documentaria alla sorpresa “umanista”. Alessandro si muove come uno sciamano contemporaneo. Il suo talismano è la macchina fotografica. E il suo è un esercizio inquieto all’interno di un mondo che appare capovolto. L’emergenza climatica vive dentro e fuori ognuno di noi”.
L’esposizione
Grassani racconta, per esempio, la storia di Erdene Tuya, 29 anni, mongola, la cui famiglia negli ultimi anni ha perso gran parte dei capi di allevamento a causa del freddo rigido (-50°), immortalando le carcasse degli animali e il contesto di stenti in cui sopravvivono i pastori, alla ricerca dei mezzi per potersi muovere al più presto verso climi più miti.
Contesto opposto in Kenya, dove secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre, tra il 2008 e il 2022 sono stati circa 1,7 milioni gli sfollati interni al Paese, in fuga da quell’80% di territorio keniota classificato come arido o semi-arido. Tra loro Rose Juma, 34 anni, che con il marito ha lasciato il villaggio di Amagoru per sottrarsi alle sempre più sanguinose dispute tribali per il controllo dell’acqua e delle terre fertili.

Ad Haiti, la popolazione è invece afflitta da uragani sempre più frequenti, così come dalle piogge devastanti e dalle conseguenti inondazioni, che l’assenza di alberi, dovuta a un’incessante deforestazione, ha reso ancora più pericolose. Lo sa bene Nadie Preval, 28 anni, che Grassani ha ritratto nella baracca dove vive in miseria con la figlia e il marito a Port-au-Prince. Ex contadini, hanno venduto per pochi spiccioli il terreno che possedevano nella campagna haitiana, ormai non più produttivo a causa delle condizioni climatiche avverse.
Spostandoci nelle zone del Bangladesh troviamo una situazione molto simile: ogni anno oltre 300 mila bengalesi sono in fuga dalle campagne, inondate e colpite dall’innalzamento del livello del mare e dalla salinizzazione, in direzione Dhaka, capitale del Paese e tra le città in più rapida crescita al mondo, con una popolazione attuale di circa 20 milioni di abitanti. Sovrappopolamento, povertà e un’irreale compenetrazione tra natura e città emergono dagli scatti del fotografo.
La mostra è realizzata con il sostegno della Fondazione Grana Padano.
Alessandro Grassani
Alessandro Grassani (1977) è un fotografo e un giornalista visivo.
Inizia a lavorare come fotografo pubblicitario ma sin dall’inizio il suo interesse si sposta verso temi di attualità che nel corso degli anni, lo portano a lavorare in più di 40 Paesi nel mondo: dal Mozambico alla Costa d’Avorio, da Haiti alla Bolivia, dal Myanmar all’Indonesia.
Tra il 2003 e il 2009 ha concentrato il suo lavoro in Iran, Israele e i territori palestinesi, documentando eventi come il funerale di Yasser Arafat, lo sgombero degli insediamenti israeliani, l’operazione militare “Summer Rain”, gli effetti del terremoto di Bam. Da allora, è tornato molte volte sulla situazione degli ebrei-iraniani e su un progetto dedicato alle minoranze etniche iraniane avverse al regime teocratico.
Dal 2011 collabora con il The New York Times e il suo lavoro viene pubblicato da altri media come CNN e TIME. Ha lavorato a numerosi progetti culturali e reportage per organizzazioni come le Nazioni Unite, German Institute for Human Rights e Doctors of the World.

INFO
Per informazioni e dettagli, consultare www.chiostrisanteustorgio.it
Photo Alessandro Grassani. Courtesy of UFFICIO STAMPA MUSEO DIOCESANO