Bragaglia da una parte; Drtikol e Vetrovsky dall’altra. In mostra alla Leo Galleries, dal 28 settembre al 19 ottobre, una piccola straordinaria esposizione di fotografie (tutte in stampa alla gelatina ai sali d’argento) e cartoline con fotodinamiche degli anni Dieci, Venti e Trenta, perfettamente conservate. A cura di Maurizio Scudiero
Monza. Italia.
L’eleganza della silhouette dei modelli, il colore caldo delle fotografie d’epoca, i giochi di linee, i contrasti tra luci e ombre: sono questi i primi dettagli che colpiscono il visitatore davanti alla mostra Fotografie d’avanguardia. Bragaglia, Drtikol, Vetrovsky, alla LeoGalleries di Monza.

Bragaglia
A confronto gli studi sul movimento di Anton Giulio Bragaglia, accolti con favore da Marinetti che invitò Bragaglia a partecipare al Movimento Futurista (osteggiato però da Boccioni che squalificò il Fotodinamismo definendolo “artifizi ottici che nulla avevano a che fare con il Futurismo“), presenti in mostra con Il chitarrista, del 1913 e due Cartoline con fotodinamiche della serie del 1932; e l’arte avanguardista del fotografo ceco Frantisek Drtikol e del suo allievo Josef Vetrovsky.
Frantisek Drtikol
Fotografo affermato, la partecipazione all’Expo di Parigi del 1925, che lanciò l’Art Déco, orientò le ricerche di Drtikol in senso decisamente moderno: si concentrò sullo studio delle geometrie e dei volumi tridimensionali delle sue modelle enfatizzati dall’uso della luce, influenzato dal cubismo e dal futurismo, in particolare di Marinetti, di cui assistette alla performance Tamburo di fuoco con le scenografie di Prampolini, dalle danzatrici Isidora Duncan e Ervina Kupferova, dalle avanguardie teatrali russe dei registi Vsevold Meyerhold e Alexander Tairov.

Josef Vetrovsky
Il suo allievo e poi braccio destro Josef Vetrovsky raccolse l’eredità del maestro e produsse una linea di foto a sua volta incentrata sullo studio dei rapporti tra nudo e volumi geometrici: nel 1939 a Praga organizzò una grande retrospettiva che fece scalpore ma sfortunetamente moltissimi suoi scatti andarono distrutti durante la guerra.
Monza Photo Fest
“Quando i Signori Mutti, organizzatori del Monza Photo Fest (dal 20 settembre all’11 novembre, ndr) insieme a Cristina Comelli ci hanno chiesto di partecipare alla rassegna eravamo scettiche, perché non intendevamo iniziare un percorso con la fotografia e tradire la nostra ricerca, incentrata sull’arte pittorica del ‘900, né aprire un nuovo filone di indagine – spiega Daniela Porta, gallerista con Grazia Casiraghi – Questa è la prima edizione del festival della fotografia a Monza e noi ci battiamo molto per affermare la cultura in città; gli organizzatori erano alla ricerca di tanti spazi per rendere il festival più interessante; abbiamo partecipato per dare sostegno alle iniziative culturali di Monza”.

Collezioni private
Le pregevoli fotografie, perfettamente conservate appartengono a due due collezioni private di collezionisti amici della LeoGalleries: “È una mostra storica, a suo modo nuova; sono autori molto conosciuti in Europa ma davvero poco noti in Italia”.
Una riflessione personale
Navigando nel web mi sono imbattuta in un articolo su Aleteia nel quale viene posta ad un teologo la seguente domanda: “Sono un fotografo e ho il dubbio se sia possibile (o moralmente adeguato) fotografare una persona nuda, in una posa naturale, ovvero non provocante, per fini puramente artistici”.

Il corpo umano nella sua nudità
Ecco la risposta, tratta da un discorso di Giovanni Paolo II del 6 maggio 1981: “Vi sono opere d’arte, il cui tema è il corpo umano nella sua nudità, e la cui contemplazione consente di concentrarci, in certo senso, sulla verità intera dell’uomo, sulla dignità e sulla bellezza – anche quella “soprasensuale” – della sua mascolinità e femminilità; queste opere portano in sé, quasi nascosto, un elemento di sublimazione, che conduce lo spettatore, attraverso il corpo, all’intero mistero personale dell’uomo.
[Tuttavia] ci sono anche opere d’arte, e forse ancor più spesso riproduzioni, che suscitano obiezione nella sfera della sensibilità personale dell’uomo – non a motivo del loro oggetto, poiché il corpo umano in se stesso ha sempre una sua inalienabile dignità – ma a motivo della qualità o del modo della sua raffigurazione.
[…] Se la nostra sensibilità personale reagisce con obiezione e disapprovazione, lo fa perché in quella fondamentale intenzionalità [dell’opera d’arte], insieme all’oggettivazione dell’uomo e del suo corpo, scopriamo indispensabile per l’opera d’arte la sua contemporanea riduzione al rango di oggetto, di oggetto di “godimento”, destinato all’appagamento della concupiscenza stessa”.
Photo Elena Borravicchio