Alla Leo Galleries di Monza “La ballerina e le aeropittrici futuriste”, a cura di Massimo Duranti e Andrea Baffoni, andate in scena dal 30 novembre 2024 al 26 gennaio 2025. Intervento scientifico di Emanuele Panzera.
Monza. Italia.
Tato, Barbara, Marisa Mori e Leandra Angelucci
Leo Galleries ospita alcune opere di tre artiste futuriste, Barbara, Marisa Mori e Leandra Angelucci, insieme alle carte di Tato con gli aerei in volo e la tela La ballerina, che benché conservi i tratti stilistici futuristi si discosta dall’aeropittura.
Le ceramiche degli anni Trenta
In mostra anche una selezione di ceramiche futuriste degli anni Trenta di Nicolay Diulgheroff e un “panettone” futurista di Cesare Andreoni.
In occasione del finissage della mostra La ballerina e le aeropittrici futuriste, è stato ospite della Leo Galleries di Monza Emanuele Panzera, con una ricchissima panoramica sulla straordinaria artista italiana Barbara.
Pittrice troppo poco nota al grande pubblico, la sua carriera ha spaziato dal futurismo al giornalismo, la moda, l’arte astratta e l’impegno per la pace.

Barbara aviatrice futurista
Panzera, nipote e attento studioso della parabola artistica di Barbara, pittore a sua volta, ha regalato al pubblico della galleria uno spaccato di storia personale e nazionale.
«Barbara era allora l’unica donna in Italia con il brevetto di volo: quando Marinetti la conobbe fu subito invitata alla mostra di Venezia, nel 1938. Aveva solo 23 anni: quando arrivò i colori del suo quadro L’aeroporto abbranca l’aeroplano erano colati, la aiutò Tato che le spiegò che i futuristi portano sempre con sé una valigetta coi colori e fanno arte anche sul momento. In una lettera Marinetti si espresse con decisione sul talento di Barbara e si disse fiducioso che ci sarebbero state altre aeropitture per la quadriennale romana; la fece nel ‘39».
Le sue aeropitture sono un unicum, si distaccano dal modello stereotipato di buona parte degli altri artisti del movimento. «Barbara pilotava davvero: i paesaggi dall’alto li vedeva, non aveva bisogno di immaginarli e conosceva le sensazioni del volo: i vuoti d’aria, la nausea… Emblematico in questo senso il suo quadro Vomito dall’aereo. I suoi colori sono molto accesi, esprimono la gioia del volo. Il volo era qualcosa di cui non poteva fare a meno».

Collegamento tra terreno e ultraterreno
Nei suoi paesaggi compare spesso il campanile, segno di collegamento tra la vita terrena e quella ultraterrena: ne è un esempio l’aeropittura di Novara, sua città d’adozione, dove crebbe all’ombra della cupola di San Gaudenzio, nella bellissima casa Bossi, dell’architetto Antonelli, lo stesso che progettò la Mole di Torino. «Ricordo che quando andavamo a trovare la bisnonna, io bambino aprivo tutte le porte delle stanze, i saloni e correvo in bicicletta», racconta Emanuele Panzera.
Ignazio Scurto, giornalista veronese e poeta futurista, la conobbe sul campo di volo. Si innamorarono e sposarono nel 1939. Dopo soli tredici anni, nel ’52, Scurto si ammalò e morì.
La moda e il giornalismo
Nonostante l’indiscusso successo, eccezionale per genere e per età, l’aviatrice futurista si allontanò dal movimento a inizio anni Quaranta, a causa delle posizioni maschiliste e del sostegno alla guerra. Si buttò nel campo della moda per stimolare le donne ad affermarsi come protagoniste del loro stile e quindi delle loro scelte. «In 20 anni aprì una agenzia di pubbliche relazioni sulla moda: convinse le sorelle Fontana, Mila Schön e altri atelier di alta moda a fare il salto e farsi conoscere nel mondo. La Rai (Eiar allora) le commissionò una trasmissione radiofonica ogni giorno, Stella polare, in cui insegnava alle donne il piacere di vestirsi. Organizzò la prima “sfilata volante” su un aereo di linea con abiti firmati dalle sorelle Fontana». Fu abile e modernissima anche in questo campo.

Ritorno alla pittura
Dopo questa lunga parentesi Barbara torna alla pittura, sostenuta dal suo caro amico il pittore svedese Gosta Liljestrom, con uno stile nuovo: l’acquerello, immortala scorci panoramici di Roma di getto, senza disegno. Contemporaneamente approfondisce i suoi interessi per la poesia, la filosofia. Si interroga sulle sorti dell’uomo contemporaneo, l’alienazione nel lavoro. Esce con le sue Ricerche sui robot, precorrendo i tempi di molti decenni.
La curiositas di Barbara non si placa: inizia a dipingere un ciclo di opere a soggetto astratto, la Genesi Cosmica, «la noesi, la pazzia dell’attimo che ti porta a creare sul momento», spiega Panzera.
I viaggi
Negli anni Settanta compie viaggi sorprendenti: si reca in Unione Sovietica invitata al Festival della gioventù, a Yalta, per il suo lavoro con i bambini; va a Cuba dove conosce Fidel Castro, che la volle incontrare e le regalò un manifesto con la dedica “a Barbara con amore, Fidel”; in Giappone dove stringe amicizia con un’importante guida spirituale.
Sperimenta, dipinge Radici, lei colorista, toglie colore. Si dedica anche a performance per bambini: mentre sta creando con le impronte delle loro mani in un parco di Roma si avvicina allo stand Machiyo Kurowama che chiede di partecipare. È una pacifista giapponese, presidente di un’associazione di vittime di Hiroshima: Barbara si rende conto della portata della sua opera e decide di portare l’Albero della pace, un rotolo telato lungo 10 metri e largo 1,80, alla Camera dei deputati; lasciarono la loro impronta per la pace molti politici tra cui Pertini e Berlinguer, che le disse: «Sei stata l’unica persona che è riuscita a farmi inginocchiare». L’opera è stata donata al Museo della Pace di Hiroshima nel 1986. Nel 2000 Barbara è l’unica donna candidata al Nobel per la pace, da istituzioni italiane e giapponesi.

L’esperienza con una tribù indiana in Canada
La malattia non interruppe ma segnò l’espressione artistica di Barabara: convita di dover morire, dipinse Sorella morte, realizzò opere tutte piene di colore, una novità. Ma non morì e ricominciò a creare e a viaggiare. «Nel 1992, all’età di 76 anni, fu ospite per tre mesi di una tribù di indiani in Canada. Allora gli occidentali non venivano accettati ma lo sciamano le disse: “Il tuo spirito è legato al nostro!” Quando se ne andò le regalò una scatola fatta di corteccia sigillata e le disse “Se non dovessi farcela basta che la apri, il tuo spirito entrerà qui e smetterai di soffrire”. La conserviamo ancora quella scatola, nessuno ha avuto mai il coraggio di aprirla».
Un talento inesauribile
Sperimenta ancora, dipinge Reti, un nuovo tipo di pittura che condensa tutte le ricerche precedenti, Sorella morte, Radici, Presenze.
Barbara nonna
A qualcuno del pubblico che chiede a Panzera come fu averla per nonna risponde: «Innanzi tutto era vietato chiamarla nonna, solo Barbara o al limite Grand-mère. Ho un bellissimo ricordo di lei: con lei si poteva parlare di tutto; fu lei a spronarmi a dipingere, mi diceva che rivedeva in me la sua stessa sensibilità per il colore. Quando andavo a trovarla nella sua casa-studio a Roma giravamo per i colli romani con la sua 500 che guidava in modo spericolato. Una volta ci fermarono i carabinieri e misero a verbale che deteneva un’arma impropria: si riferivano al catenaccio che teneva sotto il sedile per ancorare il volante al sedile, l’unico antifurto dell’epoca!».
Panzera sta organizzando l’archivio di Barbara con il sogno di creare una fondazione dedicata.
Photo Elena Borravicchio