“ROBERT CAPA. L’OPERA 1932-1954” IN MOSTRA A PALAZZO ROVERELLA A ROVIGO

“ROBERT CAPA. L’OPERA 1932-1954” IN MOSTRA A PALAZZO ROVERELLA A ROVIGO

Scritto da Marta Covre on . Postato in Appuntamenti, Cultura

Sopra Robert Capa.
Foto piccola in alto Mont Saint Michel
.

“Se non posso partecipare, non posso fare bene il mio lavoro di fotoreporter”. Queste parole riassumono lo spirito di Robert Capa, leggendario fotografo di guerra, capace di immortalare il caos dell’azione, ma anche gli aspetti privati della condizione umana, per restituirci immagini cariche di sentimento.

Il contadino siciliano e il soldato americano.

Rovigo, Italia.
Di tutto si è detto, di tutto si è scritto e di tutto si è mostrato su Robert Capa. Realizzare una mostra che abbia qualcosa di nuovo da dire sui suoi scatti non è impresa semplice. Eppure in questo caso l’obiettivo sembra centrato. Nelle 366 immagini, selezionate dagli archivi dell’agenzia Magnum Photos tra migliaia di scatti e negativi, non manca niente. Non solo le leggendarie istantanee che lo hanno reso famoso e acclamato come uno dei maggiori fotoreporter di guerra, ma anche scatti più intimi, scatti che mettono al centro gli ultimi, gli esclusi, le vittime, i migranti. Nei cosiddetti “tempi deboli”, in cui l’azione ristagna e sembra che non accada niente, Capa trovava il tempo e lo spazio per guardarsi intorno e scorgere, in quella pausa apparente, le emozioni più profonde, le testimonianze più significative, i contraltari alle violenze.

Questa retrospettiva non vuole essere solo una carrellata di scatti noti, ma mostrare davvero il lavoro di Capa, la sua dedizione al racconto fotografico. Sul campo infatti non si limitava a immortalare un soggetto e poi passare oltre, ma al contrario vi si soffermava, vi girava intorno, lo riprendeva da più punti di vista in un modo che ricorda la tecnica cinematografica del campo-controcampo. Proprio la presenza di scatti da diverse angolazioni aiuta il visitatore a entrare nell’azione, nello spazio, e a rivivere le emozioni che in quei fotogrammi sono immortalati. Alcuni dei suoi scatti sono diventati iconici, simboli che tutti possono riconoscere e in cui tutti riconoscono le atrocità della guerra. Anche Spielberg ha citato Capa come sua fonte, non solo d’ispirazione, per la realizzazione della sequenza iniziale di Salvate il soldato Ryan.

La mostra

Questa esposizione copre i 22 anni della carriera di Capa: dalle prime foto del 1932, quando neanche ventenne inizia a scattare, al 1947 quando fonda l’agenzia Magnum Photos con Henri Cartier-Bresson e David Seymour, al 1954, anno della sua morte mentre è sul campo a immortalare la guerra d’Indocina. 22 anni che sembrano pochi, se confrontati con un secolo o con la vita dell’uomo medio. Eppure sono due decenni densissimi, forse i più densi del Novecento, in cui è successo di tutto. E Capa sembrava essere sempre proprio dove questo tutto avveniva.

Nove sezioni fotografiche, più una finale con le riviste dove i suoi reportage venivano pubblicati, accompagnano il visitatore in una passeggiata nella storia. Arricchiscono la mostra una testimonianza uditiva di una intervista di Capa a Radio Canada e due spezzoni di video in cui lo si vede svolgere il suo lavoro, macchina fotografica alla mano, tra i soldati. Le Fotografie degli esordi 1932-1935 ci restituiscono un fotografo giovane, inviato a Copenhagen per coprire un intervento di Trockij, a Bruxelles per una parata, in Francia per il Tour de France. La speranza di una società più giusta 1936 ci mostra l’agitazione della società in anni in cui già si respirava l’aria di cambiamenti incombenti. Spagna: impegno civile 1936-1939 ci porta con Capa sul fronte della guerra civile, al fianco delle truppe repubblicane, in trincea, davanti al celeberrimo miliziano appena colpito, ma anche tra le rovine, nei campi profughi, tra i civili che hanno appena perso tutto.

La Cina sotto il fuoco del Giappone 1938, uno dei conflitti meno noti, eppure così denso di emozioni che il carattere orientale non ostenta, ma Capa riesce comunque a catturare. A fianco dei soldati americani 1943-1945 non ha bisogno di spiegazioni, sua è l’immagine del contadino siciliano che indica la via al soldato americano accovacciato, suoi sono gli unici fotogrammi sopravvissuti del D-Day. Verso una pace ritrovata 1944-1954 mostra il ritorno alla vita dopo la guerra, la normalità tra le macerie di Berlino, la ripresa delle arti, Picasso, Matisse, Ava Gardner e Ingrid Bergman sui set cinematografici. Viaggi a est 1947-1948 ci porta in URSS, in Ucraina, in diverse repubbliche sovietiche con le tracce del conflitto, la loro ruralità, la loro cultura. Israele terra promessa 1948-1950 è un viaggio dalla nascita dello Stato di Israele al primo conflitto con l’Egitto, un’esperienza sicuramente suggestiva per Capa, ebreo ungherese nato Endre Friedman. Infine, Ritorno in Asia: una guerra che non è la sua 1954. L’ultimo viaggio, l’ultimo reportage dell’ennesima guerra in cui il fotografo trova la morte su una mina antiuomo mentre risale un pendio per immortalare una colonna francese in marcia.
Foto Marta Covre

Palazzo Roverella.
Info

Robert Capa. L’opera 1932-1954
A cura di Gabriel Bauret

Palazzo Roverella

Via Laurenti 8/10, Rovigo
8 ottobre 2022 – 29 gennaio 2023
Dal lunedì al venerdì 9-19, sabato domenica e festivi 9-20
Biglietto intero € 6.00, previste riduzioni.

Marta Covre

Trevigiana doc dal 1990, laureata in turismo, ora lavora a Venezia. Affascinata dalle lingue e culture del mondo, si cimenta da autodidatta negli idiomi che la attraggono – gaelico di Scozia in testa – mentre raccoglie il coraggio per affrontare il sanscrito. Da sempre appassionata di Storia, all’università ha iniziato ad approfondire la Grande Guerra partecipando a un progetto di ricerca, per poi entrare nel mondo del lavoro facendo diverse esperienze in ambito culturale. Sognatrice accanita, lettrice onnivora, ascoltatrice compulsiva di musica, è alla perenne ricerca di stimoli, nonché del suo personale Santo Graal. La sua giornata ideale comprende la ricerca di informazioni sulla prossima meta, la costruzione di itinerari, lo studio, magari pratico, della cucina locale, e infine il sogno a occhi aperti del momento di partire.