
L’universo simbolico di Penck in mostra a Mendrisio

Nella splendida cornice dell’antico convento dei Serviti, il Museo d’arte di Mendrisio offre al pubblico una notevolissima raccolta di opere (20 sculture, 70 opere su carta, 40 dipinti) del più grande pittore tedesco del secondo ‘900. Fino al 13 febbraio. Una assoluta novità per l’area italofona, frutto di un lavoro di due anni, di ricerca e interpretazione, che ha prodotto, tra l‘altro, un catalogo ragionato ricco di saggi sull’artista. Il 19/12 nelle sale del museo si terrà un concerto jazz con ospiti d’eccezione in ricordo dell’artista che fu anche musicista.

Mendrisio, Canton Ticino, Svizzera.
L’universo di A.R. Penck, in gran parte ancora oggi inesplorato, è un universo affascinantissimo la cui chiave di lettura passa attraverso un linguaggio in immagini ben codificato. I codici della matematica, dalla quale l’artista attinse copiosamente, insieme agli elementi della robotica, della filosofia, della cibernetica e della musica, che studiò a fondo, si fondono con una ricerca esistenziale maturata durante gli anni di vita nella Germania dell’Est e successivamente in Occidente, che tende all’universale.
La visione di Penck non è soltanto artistica: è filosofica. “Cifra stilistica di Penck è l’opera Le immagini del mondo – spiega Barbara Paltenghi Malacrida – Il mondo deve starci tutto, non solo una porzione. Gli omini sono piccoli ed equivalenti. Sono mondi caotici. L’arte di Penck è interdisciplinare: il suo fine non è il bello ma il modello. La figura umana di Penck è un archetipo, con le mani al cielo come Cristo risorto ma anche come quelle di un uomo che si arrende. L’arte povera ignorava la portata ideale e valoriale dell’arte di Penck. La “teoria del rispecchiamento” aveva bloccato l’arte nella Germania dell’Est per decenni: Penck partito dalla pittura post impressionista di paesaggi, dopo gli anni ‘90 apre la sua arte alla dimensione cosmica, usa le dicotomie, in Uomo Movimento I e Uomo Movimento II rappresenta l’uomo che fugge da destra verso sinistra, lo stesso itinerario geografico di Penck, ma inverso rispetto a quello politico”.
Comunista convinto fu scomodo per lo stesso regime nel quale crebbe e che plasmò la sua forma mentis. Scrisse che ragionare con gli intellettuali occidentali gli era impossibile: parlavano linguaggi diversi, le categorie con cui era cresciuto erano diverse. Mise in luce sia le contraddizioni del comunismo sia le illusioni del capitalismo. Espose con pseudonimi nella Germania Ovest perché nella Germania Est i suoi dipinti erano vietati: la sua interpretazione di arte vicina al popolo era troppo autentica e lontana dalla retorica dell’ideologia. Ignorava l’esistenza dei pittori moderni: non aveva mai sentito parlare di Pollock o Warhol. La sua pittura risentiva di una sorta di innocenza primigenia assolutamente unica.

Simone Soldini ripercorre la sua storia: “Nasce nel 1939, a 6 anni vede la distruzione di Dresda, sua città natale, a 22 la costruzione del muro di Berlino. Come osserva il critico d’arte Koepplin, in quelle condizioni la sua arte avrebbe potuto o arroccarsi in una torre d’avorio o sfociare in una esposizione totale, con un’armatura retorica forte. Sceglie la seconda via. Vede il mondo come un macrocosmo, come un meccanismo sociale. Nel ’61 dipinge Le immagini del mondo, in cui è rappresentato tutto il conflitto tra mondo orientale comunista e mondo occidentale capitalista. Rappresenta il meccanismo della società, la relazione tra gli esseri umani. Conia l’ometto con la testa e il sesso evidenti. Nel ‘68 teorizza la standard che significa presa di posizione ma anche stendardo, bandiera. L’immagine diventa concetto, nasce un vocabolario, fa un “prodotto d’arte”. È stato molto frainteso: non fa arte rupestre, non richiama il mondo dell’infanzia, la sua non è pittura di denuncia ma è un’analisi, una formulazione concettuale in immagini. Dimostra un’energia e una capacità inventiva fuori dalla norma. Tra il ‘68 e il ‘73 trasporta il suo mondo in scultura. Prende sfrontatamente gusci di noce, bottiglie di plastica e altro materiale di scarto e li modella. Modellare presenta infinite possibilità, per lui significa confrontarsi con la realtà. Si considererà un artista concettuale. Nel ‘73 entra in crisi: il suo modello non attecchisce nella società, diventa una persona scomoda per il regime, inizia a esporre in Occidente, si firma con lettere puntate. La sua pittura cambia: sente il caos, diventa più soggettiva, più dinamica, più percettiva della situazione. La scultura non è una tecnica secondaria (all’inizio della sua carriera vive con uno scultore): la scultura gli consente di passare dalla teoria alla pratica. Raccontava: “In piena crisi, sul punto di togliermi la vita, ho preso un’accetta e ho cominciato a tagliare un ceppo di legno che tenevo sotto il letto. Sono stato più veloce della morte”. Nell’80 dalla Germania orientale si trasferisce a Colonia. Qui è come tornare bambino. L’ometto della standard inizialmente è statico, fisso, l’ometto del Penck occidentale ha un colore più dirompente; lo spazio si allarga enormemente, diventa “iperspazio”; l’artista abbandona le prese dirette sulla politica a favore di toni più metafisici; rimane il carattere sociale”.

Resta molto da studiare e interpretare di Penck, che ambì a inserire una disciplina nuova nelle scuole, lo studio delle immagini, e che si espresse con molteplici forme espressive, dal disegno alla pittura, alla scultura e la musica . La mostra di Mendrisio apre la strada. E celebra l’artista che fu anche musicista jazz, suonò la batteria, con un concerto il 19 dicembre alle ore 17 che vede la straordinaria partecipazione di quattro musicisti internazionali, tra cui gli italiani Bosso e Fioravanti, che improvviseranno prima da soli e poi insieme, davanti a quattro opere di Penck.
Foto Elena Borravicchio