L’isola di Lewis e Harris, la più grande delle Ebridi Esterne, è un concentrato di storia e tradizioni autentiche in un paesaggio incredibile. Il whisky, l’haggis, il tweed, le pecore al pascolo, i megaliti preistorici, le antiche abitazioni col tetto di paglia, le spiagge bianche, il mare cristallino, il gaelico e abitanti calorosi e accoglienti: tutto questo e molto, moltissimo altro, aspetta i visitatori.
Isola di Lewis e Harris, Scozia, Regno Unito.
Un viaggio in Scozia in genere porta alla mente castelli, laghi, whisky, simpatiche mucche di razza Highland con la frangia rossa e uomini in kilt, Edimburgo e Nessie. Ma questo Paese è molto di più, ha molto di più e offre molto di più. Basta prendersi il tempo di ampliare gli orizzonti verso mete meno note ed esplorare. L’isola di Lewis e Harris è un buon esempio.
Situata nelle Ebridi Esterne, è l’isola più grande della Scozia. Infatti, geograficamente si tratta di un’unica isola: il doppio nome è dovuto alla divisione a livello amministrativo. E ad un paesaggio leggermente diverso tra il nord più pianeggiante, Lewis, e il sud più collinare, Harris. Di fatto tutto il territorio è un susseguirsi di dolci rilievi, che diventano sensibilmente più marcati man mano che ci si inoltra lungo strade secondarie a una corsia. L’auto è infatti il modo migliore per scoprire questo affascinante angolo di Scozia, dove la lingua gaelica è ancora viva e l’inglese è un ospite nei segnali stradali. Ma non c’è da temere: le strade, per quanto strette, sono ben tenute e munite di numerose piazzole in cui accostare per lasciar passare chi proviene dal senso opposto, basta ricordarsi di tenere la sinistra!
Da vedere
Poco più di 20mila abitanti su una superficie grande meno della metà del Molise, un probabile rapporto umani/bestiame di 1 a 10, Lewis e Harris ha mantenuto un fascino autentico. Il paesaggio è diviso in croft, appezzamenti lunghi e stretti dati in passato in gestione alle famiglie per il loro sostentamento e separati da muretti a secco e recinzioni. I camminatori più entusiasti non si facciano intimidire dai cancelli chiusi: in Scozia esiste il right to roam, cioè il diritto di accedere a piedi anche a terreni privati non coltivati e in cui non stiano pascolando animali. L’unica raccomandazione è avere rispetto e buon senso. E chiudere il cancello.
Stornoway e Tarbert sono i due centri principali, il primo su Lewis e il secondo su Harris; qui arrivano i traghetti Calmac che collegano l’isola a Ullapool nelle Highlands e Uig sull’isola di Skye rispettivamente. Chi giunge da sud, dalle altre isole delle Ebridi Esterne, approda invece a Leverburgh. Stornoway è il capoluogo dell’isola, nonché il centro principale. È una graziosa cittadina costiera dove si concentrano la maggior parte delle attività economiche e culturali. Tutta la costa est dell’isola offre ottimi punti di osservazione per avvistare delfini e balene, orche perfino, soprattutto quando la marea si alza. I pescatori isolani suggeriscono di appostarsi al Butt of Lewis, il punto più settentrionale dell’isola, dove si trova l’omonimo faro. Gli appassionati di bird watching non possono perdersi questo luogo, in cui gli uccelli marini nidificano e fanno sentire la loro presenza con i loro versi acuti, in netto contrasto con il costante pacato belare delle pecore tutto intorno. Poco distante sorge la pittoresca chiesetta di St. Moluag, stretta nel suo alto muro di cinta tra i pascoli: risalente al XII secolo, è sempre aperta e visitabile.
Scendendo lungo la costa occidentale dell’isola si incontrano alcune delle più significative testimonianze degli oltre 8mila anni di presenza umana sull’isola. Nella località di Arnol si trova una delle attrazioni più caratteristiche e affascinanti di Lewis: una blackhouse, tradizionale abitazione dei crofters (e dei loro animali) con spessi muri a secco e tetto in paglia. La casa al numero civico 42 è un museo: gli ultimi abitanti l’hanno lasciata nel 1966 e da allora è rimasta pressoché inalterata. Più a sud lungo la strada principale compare sulla destra un arco bianco alto ben otto metri: si tratta delle due ossa della mandibola di una balena. Al centro pende l’arpione con cui l’animale era stato colpito e che ne ha causato lo spiaggiamento nel 1921. Oggi è una curiosa decorazione paesaggistica tra due abitazioni private, ma testimonia bene l’importanza della pesca e dell’industria baleniera nella zona. Presso l’abitato di Shawbost un cartello stradale turistico punta oltre una piccola collinetta erbosa, su cui si snoda un sentiero pedonale: qui si nasconde il Norse mill and kiln, un mulino con annessa fornace per l’essicazione del grano e dell’orzo. Quelli visibili oggi sono ricostruzioni, ma l’originale mulino orizzontale, alimentato dal ruscello che scorre accanto, è stato in uso fino al 1930. Ancora a sud il Gearrannan Blackhouse village attira numerosi visitatori. Tutto il villaggio di blackhouse è stato ristrutturato e riportato al – magro – splendore dei tempi in cui era abitato; oggi quattro delle case sono appartamenti per vacanze, una un museo e le altre ospitano servizi vari, senza però per questo perdere il fascino del passato e della posizione panoramica sulla costa.
Poco oltre si fa un salto indietro nel tempo al broch di Carloway: una torre megalitica costruita intorno al II secolo a.C. che raggiungeva un’altezza di almeno nove metri per un diametro di oltre 14 alla base. All’interno vi si trovavano diversi ambienti e almeno un piano rialzato, a giudicare dalle scale ancora ben conservate tra i due muri circolari. Ma la maggiore attrazione della zona è uno dei siti preistorici più spettacolari dell’isola: le pietre verticali di Callanish. 13 pietre disposte a cerchio, al centro del quale svetta un monolite di quasi cinque metri con accanto una camera tombale. Da questo gruppo di pietre si diramano file di pietre verso i quattro punti cardinali. Chissà quali erano i riti, i significati, gli auspici dietro alla creazione di una geometria così ricercata, e perché proprio in questo luogo. Imperdibile la vista di Callanish al tramonto, quando la luce del sole calante gioca con riflessi, ombre e colori sulle pietre. Tutto intorno a breve distanza sorgono altri siti simili, più piccoli e discreti, ma che a loro volta non mancano di suscitare domande e ammirazione.
La strada invita quindi a una deviazione sull’isola di Gran Bernera, collegata a Lewis da un ponte, alla cui estremità si trova la spiaggia di Bosta. Qui si erge una casa dell’Età del ferro: in realtà una ricostruzione fedele di una delle dimore qui rinvenute casualmente nel 1992. In seguito a una violenta tempesta i muri di pietra di un insediamento molto ben conservato sono riemersi dalle dune di sabbia, ma l’impossibilità di proteggerli adeguatamente dall’erosione e dagli elementi ha portato alla decisione di ricoprirli nuovamente. Ma la bellezza di questa zona non è appannaggio dei soli amanti della storia: la spiaggia è incantevole, bianca, pulita e digradante verso acqua limpida, azzurra, turchina, blu intenso, che nulla ha da invidiare ai paradisi di ben altre latitudini. Se non forse la temperatura dell’oceano. E il freddo vento costante, che smorza gli entusiastici picchi di sorprendenti 30° in piena estate.
Un’altra spiaggia, nella baia di Uig di nuovo su Lewis, fa da sfondo alla particolare scultura modellata sulla statuetta del re di un set di scacchi vichinghi. Nel 1831 un set di 93 pezzi di scacchi fu ritrovato in una camera nascosta vicino a questa spiaggia da cartolina. Gli studi hanno rivelato che i pezzi sono stati realizzati probabilmente in Norvegia nel XII secolo in avorio di denti di tricheco e successivamente portati su Lewis, che per 450 anni fu parte del dominio norreno. Oggi i pezzi sono conservati tra il British Museum, il National Museum of Scotland di Edimburgo e il Lews castle a Stornoway.
Poco più a sud si entra ufficialmente in Harris. Una deviazione verso ovest permette di costeggiare il sito dove sorgeva uno dei più grandi impianti per la lavorazione delle balene, di cui resta una solitaria ciminiera vicino alla costa. Poco oltre si raggiunge il parcheggio da cui partire per raggiungere – con una camminata di un paio di chilometri – l’osservatorio delle aquile reali, costruito nel cuore del territorio di una coppia di questi maestosi uccelli. La strada prosegue portando quasi all’improvviso attraverso il portale del giardino del castello di Amhuinnsuidhe, ora struttura ricettiva, e ancora oltre fino alla spiaggia di Hushinish, in cui con un po’ di fortuna si possono avvistare le foche.
Nella zona sud di Harris si trova quella che forse è la più spettacolare, ampia e nota spiaggia dell’isola: Luskentyre. Miglia e miglia di sottile sabbia bianca, dune erbose alle spalle e l’oceano di tutte le sfumature di blu davanti. Bassi scogli qua e là, insenature e sporgenze, onde e maree che lasciano scoperti lunghi tratti spiaggia su cui camminare cullati solo dal rumore della risacca. Un paradiso, un’oasi dove rilassarsi lontano dai rumori della vita moderna (e dalla gente). Per quanto rinomata e frequentata, gli spazi sono talmente ampi da farla sembrare sperduta e vuota.
Passare una vacanza su Lewis e Harris con l’unico obiettivo di ammirare quante più spiagge possibili non sarebbe una vacanza sprecata, e anzi potrebbe rivelare sorprese inaspettate. Come non sarebbe una brutta idea cogliere al volo tutti i suggerimenti forniti dai cartelli stradali marroni delle attrazioni turistiche, per quanto remote o minori, e scoprire tantissimi siti preistorici, chiesette medievali, le avventure di Bonnie Prince Charlie e la storia dei clan dell’isola. È ammirevole l’attenzione che viene data alla valorizzazione dei siti turistici e all’accoglienza dei visitatori: parcheggi ben tenuti, centri visitatori con punti ristoro, cartelli informativi, toilette anche nei luoghi più remoti. E guai a farsi fermare dai luoghi comuni sul clima scozzese: la pioggia arriva e passa in pochi minuti, il vento va e viene, ma il sole sa splendere forte e tenere a bada i micidiali midges.
Foto Marta Covre