Dal 22 febbraio al 15 marzo, alla Leo Galleries di Monza, la corrosiva visione dell’artista bellanese Nicoló Tomaini. La mostra “Ritratto d’illusionista” indaga l’ambiguo rapporto tra uomo e tecnologia, in cui il soggetto che usa si trasforma facilmente in oggetto usato, succube ignaro dell’intero processo.
Monza, Italia.
Sembrano volti contaminati dalla lebbra o robot che emergono sotto mentite spoglie umane.
Quadri che disturbano
Sono quadri che “disturbano”, catturano il visitatore con irresistibile forza espressiva e aprono un punto interrogativo: cosa hanno in comune i ritratti pittorici di tardo Settecento e Ottocento, con i pezzi di placche di radar militari e vecchi microchip? Le immagini scomposte di antiche figure in posa, con i codici sorgente? Quadri che si intravedono dai buchi nel cartone, con gli imballaggi dei pacchi da spedizione che li contengono?
L’opera di Nicolò Tomaini indaga con stile originalissimo e nuovo il complesso rapporto tra uomo e tecnologia, lanciando un monito preoccupante.

Ritratti del Sette/Ottocento
“Sono presenti in mostra tante serie dell’artista, tutte hanno il minimo comune denominatore della critica al rapporto che abbiamo con la tecnologia: noi pensiamo di usarla invece ne siamo usati – spiega Ettore Bossi, partner di Leo Galleries – Le tele che usa sono ritratti originali recuperati dai rigattieri, nei mercatini, destinati al macero. Predilige i quadri originali dell’epoca per confrontare la vita dell’uomo del passato con quella contemporanea. Anche la tecnologia è datata”.
Nelle serie Ritratti di illusionista, Silicio e Caricamenti protagonisti sono la figura umana e l’incursione prepotente della tecnologia; nelle serie Le 120 giornate di Sodoma, Luci senza paesaggio e Dal retaggio del futurismo protagoniste sono immagini di natura stravolte dalla finzione tecnologica.

Realtà virtuale o reale?
“In quest’opera del 2024, con due quadri collegati da un cavo e la presa elettrica, vediamo che la realtà si sta distruggendo e poi viene ricostruita digitalmente: il risultato è un’immagine falsa e perfetta, metafora della realtà virtuale che non distinguiamo più da quella autentica”, aggiunge Bossi.
Gallina Virtuale
All’ingresso della galleria c’è anche la gabbia di una gallina virtuale: “Quest’opera porta il mondo digitale nel mondo reale. Originariamente c’erano proprio le galline vere: era estremamente interessante vedere come dopo un po’, passata l’iniziale diffidenza, interagivano con lei, la trattavano come una di loro”. E noi umani, nella visione corrosiva di Tomaini, non siamo da meno.
Un artista molto promettente
È un artista giovane ma ha già all’attivo mostre personali molto significative – spiega Daniela Porta, gallerista – Ha iniziato a lavorare sul tema dell’alienazione dovuta alla tecnologia circa quindici anni fa con tele molto interessanti (che tra l’altro gli hanno copiato) in cui il simbolo di FaceBook componeva il segno della svastica o della falce e martello”.

Filippo Mollea Ceirnao
“I rischi sui quali costantemente ammonisce Nicolò Tomaini – conclude Filippo Mollea Ceirano, curatore – in verità li corre lui stesso. La società dell’immagine infatti ha assai bene saputo allestire le sue difese immunitarie, per cui l’esito più elementare è che anche quando si visita una mostra, come per esempio questa, ci si rassegni al proprio ruolo di spettatore imbecille, che consuma l’evento, osserva da lontano ciò che gli viene proposto, e passa poi al prossimo appuntamento del calendario per una nuova avventura da soggetto passivo”.
Mi sento di essere più ottimista di Mollea Ceirano almeno fino a quando l’arte terrà alta l’attenzione sul pericolo strisciante che la realtà virtuale esercita ogni giorno sulle nostre vite.
Photo Elena Borravicchio. Courtesy of Leo Galleries