Uno sguardo a una delle città più antiche e coinvolgenti della Terra.
Varanasi, India.
Ci sono luoghi in cui non è necessario avere con sé una cartina, un programma o un itinerario. Sono posti fatti per vagare o, semplicemente, per restare immobili e osservare. Sono luoghi che affinano tutti i sensi perché costituiscono un tripudio di odori, suoni e colori, frammisti e, spesso, in antitesi tra loro. È difficile distinguerli, ma forse è proprio questa commistione che rende il tutto così unico e affascinate. A Varanasi ciò accade da sempre e in ogni momento della giornata. È una delle città più antiche del mondo, in cui la storia si è talmente stratificata da rimanerle appiccicata addosso con tutte le contraddizioni del caso. Varanasi, forse anche per questo, è la città degli ossimori, a cominciare da quello più evidente e sostanziale: quello tra la vita e la morte.
Stanno l’una accanto all’altra con una naturalezza così impressionante da sembrare quasi indifferenza. La bilancia per pesare la legna dei roghi funebri se ne sta vicino a quella per quantificare il cibo; chi si fa la barba nell’acqua del Gange se ne sta a due metri da una pira fumante. Una donna lava il suo sari, il tipico abito femminile indiano, a un passo da una famiglia che prega per il caro estinto.
Ma qui tutto è possibile. Varanasi, conosciuta anche come Benares, del resto, è il cuore e l’anima dell’India. È la città santa in cui gli induisti, provenienti da tutto il Paese, vengono a purificarsi nelle acque del sacro Gange, la Ganga che è madre, tutrice, senso e sostegno dell’esistenza. Qui gli indiani vanno anche a morire per porre fine al ciclo delle reincarnazioni.
Così tutto si svolge nel fiume e attorno al fiume. Sui ghat, le scalinate che scendono verso il corso d’acqua, sembra di stare a teatro. È una scenografia cangiante, lunga sei chilometri, quella che offre Varanasi. Inizia all’alba. Di solito c’è la nebbia. È un’atmosfera rarefatta che sa di magia. La mattina presto si intravede il profilo della città e le barche sul fiume in una processione infinita, quella della preghiera dell’alba. Poi la luce cambia colore e diventa dorata. Intanto c’è chi si lava nel Gange, chi offre corone di fiori, chi accende candele. C’è un viavai che diventa sempre più insistente nel corso della giornata e appena il sole si fa più alto. Ci sono mendicanti, donne, uomini, anziani, bambini, cani liberi (moltissimi), mucche e scimmie. Ci sono i sadhu, asceti che meditano, praticano yoga insieme alla rinuncia dei beni materiali. Alcuni indossano una sorta di saio arancio, altri sono nudi e ricoperti di cenere.
Dietro i ghat, la città di Varanasi è un labirinto di vicoli, di persone, di animali e di merci. Senza sosta, il tempo scorre in una sovrapposizione infinita di azioni diverse e contemporanee: c’è chi assapora il Chai, il tè indiano a base di spezie e latte; chi cuce un abito in un negozio improvvisato mentre un bambino fa volare un aquilone. Poi, a un certo punto, la città si paralizza. È l’ora della puja, la preghiera serale. I pellegrini, un immenso sciame colorato, si concentrano tutti di fronte al Gange e, in particolare, sul Dashashwamedh Ghat. Lì si svolge la celebrazione più intensa della giornata tra luci, suoni e danze. Le barche stracolme trasformano il fiume in una distesa di lumini accesi.
IL RITO DELLA CREMAZIONE E IL MANIKARNIKA GHAT
E’ il principale Ghat funerario e il luogo, secondo gli Hindu, più propizio per essere cremati. I corpi dei defunti vengono affidati a un gruppo di intoccabili, chiamati dom, e trasportati attraverso i vicoli della città vecchia fino al sacro Gange su una barella di bambù ricoperta da un sudario bianco e arancione. Prima di essere cremati, i cadaveri vengono immersi nel fiume. Un volta ricoperti di legna, in quantità variabile in base alle disponibilità della famiglia, il corpo viene cremato.
È possibile assistere al rito della cremazione.
Scattare fotografie è severamente vietato.
IL TACCUINO DI AGENDA VIAGGI
COME ARRIVARE A VARANASI
Il Lal Bahadur Shastri Airport dista 24 chilometri dalla città ed è servito da numerose compagnie aeree con voli diretti da e per diverse città indiane come Delhi, Mumbai e Bangalore.
La principale stazione ferroviaria di Varanasi prevede diversi treni giornalieri per Allahabad, Gorakhpur e Lucknow. Pochi invece sono i collegamenti quotidiani con Delhi e Calcutta. Non esistono invece treni diretti per Agra, la città del Taj Mahal.
DOVE DORMIRE E MANGIARE
Per un’occasione speciale, adagiato sul Darbangha ghat c’è un hotel all’interno di un palazzo storico minuziosamente restaurato. È il Brijrama Palace. Un sogno, non solo per la posizione straordinaria, ma anche per la finezza degli arredi. Si tratta indubbiamente dell’hotel più affascinate della città. Anche il ristorante annesso è ottimo.
Degno di nota è il Ganpati Guesthouse. . In posizione strategica sul Meer Ghat, è un edificio con una vista eccellente sul fiume. Ha al suo interno un bel cortile ombreggiato. Le camere sono pulite e decisamente gradevoli. Il manager è molto disponibile. Il ristorante sulla terrazza vanta una scelta varia e interessante di piatti indiani e la una veduta sul Gange è mozzafiato.
Per un pasto veloce, nelle viette centrali della città vecchia, Brown Bread Bakery . Lì vengono serviti formaggi, piatti vegetariani e moltissimi dolci, spesso appena sfornati.
LE LETTURE SU VARANASI
Numerosi sono i libri che parlano della città di Varanasi. E non c’è che l’imbarazzo della scelta. Tra i tanti, vale sicuramente la pena leggere o rileggere:
“L’odore dell’india” di Pierpaolo Pasolini, scritto negli anni Sessanta è ancora attualissimo, non solo per l’acume straordinario di uno dei più grandi intellettuali del nostro paese, ma anche perché Varanasi, come diceva lo stesso Pasolini, è una città che rimane inalterata nel tempo.
“Maldindia” di Pierpaolo Di Nardo, viaggiatore e musicista con all’attivo oltre sessanta viaggi in India.
“Banaras. City of light” di Diana L.Eck, una guida in inglese completa e dettagliata della città anche dal punto di vista storico. Realizzata negli anni Ottanta da una professoressa di Religioni Comparate e Studi Indiani dell’Università di Harvard, resta ancora un caposaldo.
Testo e foto di Paola Scaccabarozzi