Con “Man Ray. Forme di luce”, Palazzo Reale racconta il genio che ha trasformato la fotografia in linguaggio poetico. La luce diventa materia viva, il corpo femminile un territorio di invenzione e libertà. Un percorso che unisce surrealismo, eros e sperimentazione in immagini senza tempo.
Milano, Italia.

Un artista totale
Emmanuel Radnitsky, in arte Man Ray, fu pittore, fotografo, cineasta e instancabile innovatore. Il suo stesso nome — “Man” come uomo, “Ray” come raggio — rivela un destino legato alla luce. Per lui la luce non era un mezzo, ma una sostanza viva, capace di scolpire volti, corpi e oggetti.
Nato a Philadelphia nel 1890, cresciuto a New York e poi trasferitosi a Parigi, Man Ray visse immerso nel fermento delle avanguardie. Amico di Marcel Duchamp, frequentò artisti come Picasso, Dalí, Tristan Tzara, Gertrude Stein, Cocteau. Negli anni Quaranta, costretto a emigrare, si stabilì a Hollywood dove sposò Juliet Browner, modella e ballerina, in un doppio matrimonio con Max Ernst e Dorothea Tanning.

Le donne di Man Ray
Nessun artista del Novecento ha saputo raccontare il femminile come Man Ray. Le sue donne non sono muse silenziose, ma presenze vive, complici, parte integrante della sua visione surrealista.
Con Kiki de Montparnasse, simbolo della Parigi bohémienne, costruisce un dialogo continuo tra eros e ironia. In Le Violon d’Ingres (1924) il corpo di Kiki diventa uno strumento musicale: la schiena è un paesaggio armonico, il nudo un’idea astratta, mai voyeuristica. Kiki fu anche protagonista di Noire et Blanche, dove la bellezza si fonde con il mistero, e il volto si trasforma in maschera.
Con Lee Miller, fotografa e compagna, Man Ray sperimenta la tecnica della solarizzazione, ottenendo contorni sospesi e auree irreali. Insieme ridefiniscono la fotografia di nudo tra realtà e sogno. Dopo la loro separazione, Miller diventerà una grande fotoreporter di guerra — segno che la loro relazione era fatta di parità, scambio e libertà.
Altre figure attraversano la sua vita e la sua opera: Meret Oppenheim, musa surrealista e artista autonoma; Ady Fidelin, ballerina della Guadalupa, prima modella nera a comparire su una rivista di moda; Juliet, la moglie che gli restò accanto fino alla fine. Ognuna di loro lascia un segno, un riflesso, una forma di luce diversa.

Curiosità e sguardi
- Con Kiki, Man Ray sperimentava anche il trucco e la messa in scena: ogni posa era costruita come una performance, con abiti, ombre e oggetti scelti per creare effetti teatrali.
- Lee Miller collaborava attivamente alla stampa e alla manipolazione dei negativi: molte immagini firmate solo da lui sono in realtà frutto di un dialogo tecnico e poetico a due voci.
- In Larmes (1932) — “Lacrime” — immagine tra le più iconiche dell’artista, le gocce che scivolano sul volto di una donna sono di vetro: un artificio delicato che trasforma l’emozione in materia.
- La ballerina Ady Fidelin fu un soggetto rivoluzionario: in anni in cui la diversità non trovava spazio nell’arte europea, la sua figura luminosa divenne simbolo di libertà.

La leggerezza del surrealismo
Il surrealismo di Man Ray non nasce dal desiderio di scandalo, ma da quello di trasformazione. Il corpo, il volto, l’oggetto diventano elementi di un linguaggio nuovo, in cui l’ironia convive con l’enigma. In opere come Minotauro, dove un corpo maschile sembra fondersi con quello di un toro, il confine tra realtà e mito si dissolve. È la stessa logica con cui fotografa il corpo femminile: mai per possederlo, ma per renderlo infinito.
Una domanda aperta
Guardando le sue immagini oggi, la domanda resta viva: come avrebbe reagito Man Ray di fronte all’intelligenza artificiale, alla fotografia generativa, ai nuovi confini dell’immagine? Forse avrebbe sperimentato, come sempre. Perché la sua arte non fu mai imitazione, ma invenzione continua.

INFO
MAN RAY Forme di luce
Palazzo Reale, Milano
24 settembre 2025 – 11 gennaio 2026
Orari: mar–dom 10.00–19.30; giov fino alle 22.30; lunedì chiuso
Biglietti: intero 15 €, ridotto 13 € e 10 €
Credit photo dall’alto: ©av. © Man Ray 2015 Trust, by SIAE 2025. ©av. (2). Noire et blanche, 1926, épreuve gélatino-argentique posthume, 17,3 x 23,5 cm, coll. ©av.




