Milano, Italia.
Fino al 2 aprile Loretta Strong, testo che nasce nel 1974 dalla penna del drammaturgo franco-argentino Copi (pseudonimo di Raúl Damonte Botana), è in scena al Teatro della Contraddizione con la regia di Giuseppe Isgrò della Compagnia Phoebe Zeitgeist.
La terra è esplosa, e unica superstite è Loretta Strong, una creatura in tutina argentata e caschetto biondo che si aggira nell’universo seminando oro alla ricerca di un qualche contatto che la salvi dalla solitudine. Inizia così un monologo dell’assurdo con invisibili creature di mondi alieni minacciosi quanto surreali in un turbinio folle di sonorità e azioni fisiche, fatto di squillare incessante di telefoni, improvvisi suoni metallici, grida, pianti, deliranti sproloqui.
L’unica salvezza a questa distruzione e solitudine, l’appiglio sub-umano o oltre-umano, è la telefonata extra-terrestre che Loretta Strong cerca di mantenere in vita nonostante le continue interruzioni, come un filo immaginario percorso da scosse elettriche vitali e distruttive insieme.
Sulla frenesia comunicativa come necessità assoluta (“pronto, Linda?” , “dove sei, Linda?”) ma anche rischiosa, in quanto possibile folle ricerca di qualcosa che non esiste e quindi, la scoperta finale della sua assenza, del vuoto assoluto, del buco nero dei rapporti umani, che può portare alla distruzione di mondi e di corpi.
Sopravvivono solo (nella mente di questa creatura dall’identità sessuale indefinita) mostri inumani, abitanti grotteschi di altri pianeti, animali affamati, uomini scimmia, topi, pipistrelli, il cui unico scopo è fagocitare, inseminare, distruggere.
L’ achréios lógos, discorso insensato e allucinato, delirio vertiginoso di Loretta Strong, creatura forte, energica, vitale nel suo continuo procreare (e quindi creare) è un susseguirsi di esplosioni fisiche e verbali (stupefacente l’interpretazione di Margherita Ortolani), follemente ipnotiche.
La figura del triangolo argentato diventa il simbolo di perfezione su cui si agita con incredibile equilibrio di forze e parole questa eroina comicamente allucinata alle prese con imprescindibili necessità umane virate all’assurdo, quella della ricomposizione (ordine), inseminazione (atto creativo), procreazione (vita), caos e infine distruzione (morte).
Da questa scossa elettrica ininterrotta, di parole e visioni, dalla progressiva distruzione si salva soltanto l’oro che Loretta Strong difende a tutti i costi per inseminarlo all’infinito. Linfa divina nel ventre di una dea cannibalizzata, l’oro è forse anche Loretta stessa: l’energia creativa strong, dura, tenace, combattiva e necessariamente (perchè vitale e viva) folle e onirica. La maniké (follia) di greca memoria, che trasforma incubi e paure in un’opera d’arte ed esplodendo fuori di sè, oltre lo spazio, oltre i limiti, si fa vita.
“Nessuno che sia savio può possedere una capacità profetica ispirata e veritiera, bisogna che prima muti se stesso con una certa certa forma di entusiamo” (Platone, Timeo).
Note di regia
Giuseppe Isgrò
Loretta Strong è sola sulla sua astronave: un triangolo argentato.
“La terra è esplosa”, resta solo la rappresentazione, l’immanenza tragicomica del corpo dell’attore, della sua voce, del suo delirio isterico-onirico.
Loretta evoca altri colleghi astronauti, la sua amica Linda, extraterrestri e animali d’ogni genere. I topi che in realtà sono pipistrelli, i quali a loro volta sono pappagalli o magari venusiani o uomini scimmia della stella polare. O sono gli spettatori? Gli addetti ai lavori?
Loretta non esiste: esplode e si “rimette assieme da sola” – “sarà divertente rincollare tutte queste dita”. Loretta è in quanto si esibisce. Non può uscire dalla sua gabbia scenica. Loretta è percossa da interferenze, suoni elettronici, applausi da stadio, versi mostruosi di animali o di neonati di altri pianeti. Tutto è nella sua testa delirante, testa di drogata, di visionaria, di transessuale – di attrice?
Si è scelto quindi di evitare ogni oggetto scenico, legato all’immaginario che questo testo ha spesso scatenato: pupazzi, tazze del water, frigoriferi, mitragliatrici spaziali… in scena Loretta è realmente sola.
Loretta Strong è un’allegoria della solitudine dell’attore; la follia e l’assurdità del suo stare in scena per poi uscirne, il suo essere instabile e spaventato. Copi affronta senza troppo esplicitarlo (soprattutto se lo si confronta con altri autori dell’assurdo) queste tematiche fondamentali, le affronta con un’ironia indomita e corrosiva, con anarchica spregiudicatezza. Loretta è “una terrestre” orgogliosamente umana, è “l’ultima sopravvissuta”, il suo spazio scenico è mentale, la sua navicella trasporta un’invincibile furia immaginativa: “l’oro” che Loretta sta tentando di trasportare su altri pianeti, per seminarlo, coltivarlo, farlo esplodere!
LORETTA STRONG di Copi
Regia Giuseppe Isgrò
Con Margherita Ortolani
Suono e musiche originali Giovanni Isgrò
Scena e costume Olga Durdevic
Luci Giuseppe Isgrò, Giuseppe Marzol