La storia di un viaggio verso terre lontane, un percorso verso est raccontato in un libro, 12.000 chilometri che separano Torino da Ulan Bator.
Il Grande Khan è la storia di tre ragazzi che partono per Ulan Bator a bordo di una vecchia autoambulanza della Piaggio. Un viaggio imponente, allestito nell’ambito del Mongol Rally, evento automobilistico non competitivo organizzato a scopo di beneficenza. Le finalità oblative dell’evento tuttavia non esauriscono le motivazioni che ordiscono la trama di questo viaggio, né le conseguenze che quest’impresa ha sulla vita dei protagonisti. Il contatto con l’Altro, l’avanzata verso una parte di mondo aliena ai ritmi occidentali, il ritrovamento di valori che la velocità moderna tende a far dimenticare, la scoperta dell’amicizia attorno al fuoco della sera. Il tragitto verso Ulan Bator è un viaggio alla riscoperta di un’autenticità che tendiamo a dare per dispersa. Il libro di Federico Mosso, semplice, divertente, incalzante, ci ricorda come sia possibile ritrovare i frammenti di quest’autenticità girando semplicemente il cofano dell’auto verso est, spogliandosi dei pregiudizi, abbandonandosi all’innata attrazione che da sempre l’uomo nutre verso l’ignoto e partendo. Agenda Viaggi sceglie di presentare quest’avventura direttamente con le parole di Federico.
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L’estate 2010 ha rappresentato per te e i tuoi amici un’occasione unica per vivere un’esperienza fuori dall’ordinario. Con loro hai percorso oltre 12000 chilometri. Insieme avete attraversato terre selvagge e spesso inospitali. Qual è stata la molla che vi ha spinto ad intraprendere questa grande impresa?
La voglia di scoprire e di fare un viaggio da ricordare per il resto dei nostri giorni. Volevamo fare qualcosa di straordinario, un road trip guascone ma determinatissimo nell’arrivare alla meta.
La provenienza dei partecipanti all’evento era piuttosto eterogenea: inglesi, danesi, americani, australiani, tedeschi, spagnoli, rumeni, una babele di linguaggi e abitudini unita da un solido senso d’appartenenza all’impresa e da un comune obiettivo. Come avete vissuto questa kermesse di diversità?
Una delle peculiarità più importanti del Mongol Rally, evento automobilistico annuale che definirei slowtrip, è proprio la sua internazionalità. I partecipanti arrivano da ovunque, sono avventurieri in erba, nomadi della strada. E’ stato bello ritrovarsi in lande lontane e desolate durante il viaggio e conoscere altri equipaggi attorno al fuoco della sera in angoli di mondo che paiono di altri pianeti. Ricordo ancora un episodio in Mongolia nordoccidentale, vicino alla città di Khovd: dopo passi di montagna, gole e piste in bilico su strapiombi abbiamo incontrato una dozzina di altre vetture abitate da spagnoli, inglesi, austriaci. Tutti assieme ci siamo lanciati nella steppa colorata da uno dei tramonti più belli della mia vita mia. Rombammo tutti assieme, diversi nelle nazionalità, uniti nel viaggio.
Il vostro incedere verso Est è stato un lento disvelarsi di culture diverse. La vecchia Europa diveniva sempre più marginale e lasciava spazio a popolazioni che sembravano provenire da un altrove difficilmente collocabile, da un mondo alieno, con tempi e concezioni del mondo a volte ribaltati. Come e in che misura questo confronto con l’Altro vi ha arricchito?
Ci ha arricchito e di molto. Ci sono rotte per masse turistiche, dove le differenze tra visitatori e i locali vengono appianate per rendere tutto più quieto e più accogliente. Non è il caso del Mongol Rally. L’Altaj siberiano rimane una terra di confine e la Mongolia on the road è medievale, uno di quei remoti angoli di mondo ancora incontaminati dai ritmi globali. Si parla di omologazione di costumi e standard di vita. La Mongolia, fatta esclusione della capitale, è ancora un’eccezione. E’ il Far East. La scoperta, se essa ha ancora valore, in questo pianeta sempre più piccino e affollato, è verso Levante.
In che modo avete vissuto l’impatto con la diversità e con le difficoltà comunicative? Hai un’esperienza particolarmente spiacevole da raccontarci?
Devo essere sincero, quello che sul momento mi sembrava spiacevole, ora, a distanza di anni, è mutato in un ricordo piacevole, un qualcosa da ricordare come elemento di avventura. Comunque i fastidi più grandi ci sono arrivati dalla polizia russa e kazaka. Molti sceriffi locali sono corrotti, pretendono un obolo dai viaggiatori sotto la minaccia di multe per infrazioni inventate lì per lì. Sono improvvisatori della mancia. Il problema è che non parlano inglese, nessuno lo parla ad est di Mosca, nessuno. E quindi è litigare a gesti tra documenti svolazzanti e carte in cirillico.
I lettori di Agenda Viaggi vorranno sapere di un’esperienza che, al contrario, ti ha lasciato un ricordo piacevole. Quale, tra tutte, vorresti condividere con loro?
Ricordo un episodio: stringemmo amicizia con dei ragazzi russi conosciuti una sera tra le montagne della Siberia sudorientale. Per la notte avevamo affittato una capanna di legno in cui facemmo ardere un fuoco al centro del pavimento il cui fumo usciva da un buco sul tetto. Con il fuoco che bruciava in mezzo ai nuovi incontri, con il sangue diventato caldo dai continui “Nas darovje!” e con bottiglie e bicchieri che si scontravano felici, quella sera sotto quel tetto di legno, quattro italiani e tre ragazzi siberiani furono amici per la pelle.
Passiamo ad un aspetto pratico: come avete progettato l’itinerario e come avete scelto i luoghi di sosta?
Per arrivare ad Ulan Bator via terra ci sono tre grandi vie. La prima è puntare a Mosca e poi seguire la lunga arteria autostradale trans mongolica, un serpente d’asfalto infinito e comodo che porta in Mongolia in una decina di giorni, senza buche e cammelli tra le scatole. Poi c’è la rotta centrale, quella che abbiamo seguito noi, ovvero: Torino Svizzera Austria Germania Boemia Polonia Lituania Lettonia Mosca; poi muso del mezzo verso sud, verso il Volga e l’Asia; lo strano e giallo Kazakistan fino ai confini con la Cina; sterzata in direzione Nord; Siberia, Repubblica dell’Altaj e infine Mongolia. Oppure c’è il passaggio a sud. Si tratta di penetrare i Balcani, affrontare la Turchia e poi la grande avventura dell’Asia Centrale e della Via della Seta: Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan, Altaj e Mongolia. Una tratta bellissima, avventurosa, lunga. La prossima volta, magari.
Quali consigli ti sentiresti di offrire a chi avesse voglia di cimentarsi in un’avventura come la tua?
Primo: avere spirito d’adattamento. Secondo: almeno un membro dell’equipaggio deve saper mettere le mani nel motore. Terzo: affrontare il viaggio con amici affiatati e con la stessa visione del viaggio. Si sta in stretto contatto per settimane, bisogna saper affrontare la fatica con serenità. Quarto: una buona pianificazione di approntamento mezzo. Quinto: essere uomini curiosi e affamati di esperienze di viaggio.
Dal 2010 ad oggi avete fatto altri viaggi interessanti?
Con Alberto e Lele purtroppo no. Io ne ho fatti altri. Ho visitato le bellezze del Rajasthan indiano. Me ne sono andato a zonzo per treni nella Cina orientale. Mi sono tuffato nei Balcani: la Bosnia e la sua Sarajevo, la Macedonia e il suo placido lago di Ohrid, l’Albania meridionale e le isole greche dello Ionio in barca. Sono stato anche in Moldavia e in quello strano stato che non c’è della Transnistria, il buco nero d’Europa.
I tuoi progetti per il futuro? Nuovi viaggi, nuovi libri, nuove avventure?
Ho tante idee per la zucca e il tempo è il mio peggior nemico. Dormo poco e uso sere e notti per scrivere, scrivere, scrivere. Uscirà a breve un mio nuovo libro questa volta di storia piemontese: Piemonte in Pillole. Inoltre, sto completando un terzo libro, un thriller scritto a quattro mani. A giugno, invece, voglio andare a Belgrado e con altri amici affitterò una macchina per attraversare il confine con la Romania e bighellonare on the road in quelle affascinanti regioni.
Un ultima domanda prima di salutarci. I lettori di Agenda Viaggi vorranno sapere dove andare quest’estate. Se dovessero virtualmente ripercorrere i vostri 12000 km, dove consiglieresti loro di fermarsi e perché?
All’inizio del viaggio abbiamo fatto tappa in Boemia: è una zona della Repubblica Ceca davvero magnifica. Il sud della Russia, con le sue città del Volga come Samara, che d’estate si riempie di vacanzieri, può riservare piacevoli ed inaspettate sorprese. Ah, sicuramente la Repubblica dell’Altaj, la regione della Siberia Meridionale piacerà tantissimo a chi cerca montagne selvagge, boschi sconfinati, trekking avventurosi e natura incontaminata. E poi la Mongolia tutta, con le sue aquile, i cavallini impavidi, i cammelli nella steppa, i nomadi, le gher, le montagne dai nomi impronunciabili e il Gobi, oceano di terra deserta. Colgo l’occasione per ringraziare Agenda Viaggi per lo spazio e dichiaro che viaggiare è come divorare biblioteche in un sol boccone; viaggiando si diventa uomini migliori.
Ivan Burroni
ivan@agendaviaggi.com