Presentata in anteprima a Un Certain Regard del Festival di Cannes, “Se solo fossi un orso” è l’opera prima della regista Zoljargal Purevdash ed è il primo film proveniente dalla Mongolia ammesso in Selezione Ufficiale sulla Croisette. Ora in sala distribuito da Trent Film

Milano, Italia.
Al centro della vicenda del lungometraggio Se fossi un orso (If Only I Could Hibernate, Baavgai Bolohson) la storia di Ulzii, un adolescente che vive nei sobborghi poveri di Ulan Bator, capitale della Mongolia, insieme a una madre fragile afflitta dalla dipendenza dell’alcol e ai suoi tre fratelli.
Il ragazzo, dopo la tragica scomparse del padre, s’ingegna nel trovare i soldi necessari per prendersi cura della famiglia e pagare il carbone, unico modo per riscaldare la sua yurta (la casa mobile dei mongoli nomadi). Ma Ulzii, dotato di una straordinaria passione per la fisica, sarà combattuto tra la necessità di lavorare e l’ inseguire il sogno di partecipare al concorso nazionale di scienze e vincere una borsa di studio che gli permetterebbe di sottrarre la madre, i fratelli e lui stesso a una povertà alla quale sembrano condannati.
Una storia universale tenera e autentica allo stesso tempo
In questa storia di riscatto sociale, dolce e toccante, la regista Zoljargal Purevdash, nata e cresciuta negli stessi luoghi del film, riflette anche sul delicato e spesso complesso rapporto madre figlio: la madre, analfabeta, trova lavoro altrove, abbandonando lui e i suoi fratelli nel pieno del rigido inverno mongolo. Il conflitto genitoriale si risolverà in un percorso di crescita dolorosa ma necessaria per il giovane protagonista illuminando una storia universale tenera e autentica allo stesso tempo.
Sullo sfondo delle vicende del giovane Ulzii, il racconto non solo di una società in bilico tra tradizione e modernità, superstizione e sapere scientifico ma anche una condanna dell’indifferenza del governo verso le tematiche ambientali: il carbone che viene bruciato nelle tante yurte dei sobborghi della capitale aumenta inesorabilmente l’inquinamento provocando negli abitanti che ne respirano i fumi velenosi malattie respiratorie; oltre che nei confronti dell’estrema povertà di alcune fasce della popolazione, costrette appunto all’utilizzo di un combustibile fossile (ma spesso anche di legno, cartone e pneumatici, tutto ciò che è possibile bruciare in mancanza dei soldi necessari per pagare il carbone) a causa dell’assenza dei sistemi di riscaldamento, due aspetti della stessa medaglia, dunque.
“Lavoro a questo progetto dal 2017” ha raccontato la regista in un’intervista “questa è la ragione più forte per cui sto lottando per questo progetto. Mia figlia sta respirando quest’aria pericolosa. In inverno, i metalli pesanti derivanti dall’inquinamento scorrono nel sangue di mia figlia come in quello di tutti i bambini che vivono a Ulan Bator”
“Ulan Bator è la capitale più inquinata del mondo” continua Zoljargal Purevdash “oltre il 60% dei cittadini vive nel Distretto delle Iurte dove non sono presenti sistemi di riscaldamento o infrastrutture, e dunque si è costretti a bruciare carbone per sopravvivere alla temperatura di – 35° del brutale inverno mongolo. Ma ciò che respiriamo non è fumo, è povertà. Volevo fare un film su un adolescente che vive nel quartiere della Iurta e sogna un futuro luminoso ma è fortemente influenzato dal rapporto con la sua famiglia e dalle sue condizioni sociali. Volevo che la mia gente capisse, sentisse e abbracciasse ogni lotta e gioia reciproca attraverso questo film”.
Photo courtesy of Trent Film
Anna Alemanno