La Cappella Sansevero è un gioiello barocco nel cuore del centro storico di Napoli: un luogo suggestivo, ricco di storia e cultura, contenente tesori di immenso valore, tra cui l’iconico Cristo Velato, realizzato da Giuseppe Sanmartino. L’aspetto attuale corrisponde a un progetto iconografico ideato dal principe Raimondo di Sangro, creato poi dagli artisti che lavorarono sotto la sua supervisione: nel suo testamento, raccomandò agli eredi di non modificare nulla, motivo per cui, ad oggi, si può considerare il messaggio da lui lasciato alla sua posterità
Sopra, Cappella Sansevero. Foto di Marco Ghidelli. © Archivio Museo Cappella Sansevero.
Foto in alto, Cristo velato (Giuseppe Sanmartino. 1753), Foto di Marco Ghidelli
© Archivio Museo Cappella Sansevero
Napoli, Italia.
La Cappella Sansevero è una delle attrazioni preferite dei viaggiatori di tutto il mondo: un vero e proprio gioiello custodito nel cuore del centro storico di Napoli, dove bellezza e magnificenza regnano sovrane e incantano gli occhi dei visitatori. Un luogo iconico e suggestivo, ideato e voluto dal principe Raimondo di Sangro, che custodisce tesori dal valore inestimabile tra cui, in particolare, il Cristo Velato, realizzato da Giuseppe Sanmartino.
Il progetto iconografico del principe
L’aspetto attuale della Cappella Sansevero risponde a un progetto iconografico ben preciso, ideato dal principe Raimondo di Sangro (1710-1771) e posto in essere dagli artisti che lavorarono sotto la sua supervisione. Dall’ingresso principale si accede all’unica navata, in fondo alla quale si apre l’abside con l’Altare maggiore. Le due pareti laterali presentano quattro archi a tutto sesto, ciascuno dei quali accoglie un monumento sepolcrale, fatta eccezione per il terzo arco alla sinistra dell’ingresso principale, che sormonta l’accesso laterale, e per il terzo arco sulla destra, che immette nel passetto ove è la Tomba di Raimondo di Sangro.
I mausolei ospitati nelle cappellette laterali sono intitolati agli avi illustri della famiglia di Sangro, mentre i gruppi scultorei addossati ai pilastri, che separano gli archi, sono dedicati alle donne passate e presenti del casato, tranne il Disinganno, eretto alla memoria di Antonio di Sangro, padre di Raimondo. Sono certamente queste ultime statue il fulcro dell’originale progetto iconografico del principe di Sansevero: esse rappresentano infatti diverse Virtù, tappe di un cammino iniziatico mirante alla conoscenza e al perfezionamento interiore.
Quanto al Cristo velato, capolavoro dell’arte mondiale, questo doveva essere collocato nell’ambiente ipogeico da lui progettato, quella Cavea sotterranea destinata a ospitare anche i futuri sepolcri dei Sansevero, ma che non fu mai portata a termine così come l’aveva immaginata il geniale mecenate.
Un messaggio per i posteri
La creativa interazione tra Raimondo di Sangro e i suoi artisti ha reso la Cappella Sansevero un luogo inimitabile di arte, magnificenza e suggestione, alla cui realizzazione il principe dedicò gran parte della sua vita e dei suoi averi. Nel suo testamento raccomandò agli eredi di non modificare nulla dell’assetto e dell’apparato simbolico da lui concepiti: è per questo che si può senz’altro affermare che la Cappella Sansevero costituisce, più di ogni sua altra opera letteraria o invenzione, il messaggio lasciato da Raimondo di Sangro alla posterità.
Le Virtù volute nella Cappella
Il ricco simbolismo presente nelle opere della Cappella Sansevero, che per la sua complessità non si presta a un’interpretazione chiara e univoca, non esaurisce il significato del progetto disangriano: oltre che tempio di virtù e dimora filosofale, la Cappella Sansevero è anche e soprattutto un monumento ideato per esaltare il rango del casato e rendere immortali le glorie dei suoi membri.
Queste, a partire dalla sinistra dell’ingresso principale, le Virtù volute da di Sangro per il suo Tempio: il Decoro, la Liberalità, lo Zelo della religione, la Soavità del giogo coniugale, la Pudicizia, il Disinganno, la Sincerità, il Dominio di se stessi, l’Educazione, l’Amor divino.
Il Cristo Velato
Posto al centro della navata della Cappella Sansevero, il Cristo Velato è una delle opere più suggestive al mondo. Nelle intenzioni del committente, la statua doveva essere eseguita da Antonio Corradini, che per il principe aveva già scolpito la Pudicizia. Tuttavia, Corradini morì nel 1752 e fece in tempo a terminare solo un bozzetto in terracotta del Cristo, oggi conservato al Museo di San Martino. Fu così che Raimondo di Sangro incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, di realizzare “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”. Sanmartino tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto. Come nella Pudicizia, anche nel Cristo velato l’originale messaggio stilistico è nel velo, ma i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi di Sanmartino imprimono al sudario un movimento e una significazione molto distanti dai canoni corradiniani.
Il Cristo velato del Sanmartino è considerato uno dei più grandi capolavori della scultura di tutti i tempi. Fin dal ’700 viaggiatori più o meno illustri sono venuti a contemplare questo miracolo dell’arte, restandone sconcertati e rapiti. Tra i moltissimi estimatori, si ricorda Antonio Canova, che durante il suo soggiorno napoletano provò ad acquistarlo e si tramanda dichiarasse in seguito che avrebbe dato dieci anni di vita pur di essere lo scultore di questo marmo incomparabile.
La leggenda del velo
La fama di alchimista e audace sperimentatore di Raimondo di Sangro ha fatto fiorire sul suo conto numerose leggende. Una di queste riguarda proprio il velo del Cristo di Sanmartino: da oltre duecentocinquant’anni, infatti, viaggiatori, turisti e perfino alcuni studiosi, increduli dinanzi alla trasparenza del sudario, lo hanno erroneamente ritenuto frutto di un processo alchemico di “marmorizzazione” compiuto dal principe di Sansevero. In realtà, il Cristo velato è un’opera interamente in marmo, ricavata da un unico blocco di pietra, come si può constatare da un’osservazione scrupolosa e come attestano vari documenti coevi alla realizzazione della statua.
Le Macchine Anatomiche
Nella Cavea sotterranea della Cappella Sansevero sono oggi conservate, all’interno di due bacheche, le famose Macchine anatomiche, o Studi anatomici, ossia gli scheletri di un uomo e di una donna in posizione eretta, con il sistema arterovenoso quasi perfettamente integro. Le Macchine furono realizzate dal medico palermitano Giuseppe Salerno, e alcune fonti settecentesche poste di recente in evidenza attestano che la macchina anatomica maschile fu acquistata nel 1756 da Raimondo di Sangro, in seguito a una esibizione pubblica che l’anatomopatologo siciliano tenne a Napoli.
Le due Macchine anatomiche sono tra le presenze più enigmatiche del complesso monumentale. Ancora oggi, a oltre duecentocinquanta anni di distanza, si dibatte sui procedimenti e i materiali grazie ai quali si è potuta ottenere una tanto eccezionale conservazione dell’apparato circolatorio. Alimentando la “leggenda nera” di Raimondo di Sangro, la Breve nota parlava di “iniezione”, ipotizzando che Salerno, sotto la direzione del principe, avesse inoculato nei vasi sanguigni di due corpi una sostanza che ne avrebbe procurato la “metallizzazione”.
In realtà, il sistema circolatorio è frutto di una ricostruzione effettuata con diversi materiali, tra cui la cera d’api e alcuni coloranti. Stupisce, ad ogni modo, la riproduzione del sistema arterovenoso fin nei vasi più sottili, che dimostra conoscenze anatomiche incredibilmente avanzate per l’epoca, tanto che un gruppo di ricercatori ha recentemente suggerito l’ipotesi che, ai fini della ricostruzione, siano stati precedentemente effettuati esperimenti iniettivi.
Queste realizzazioni vanno inserite nell’ampio spettro di sperimentazioni e interessi del principe di Sansevero, che si occupò anche di medicina: d’altra parte, lo scheletro della donna era su una pedana e si faceva “girare d’ogni intorno, per osservarsene tutte le parti”, particolare che fa capire come Raimondo di Sangro lo avesse ideato quale oggetto di studio. Non va dimenticato, tuttavia, il suo intento – andato a buon fine – di meravigliare gli osservatori contemporanei e posteri, né è priva di suggestioni l’originaria collocazione delle Macchine nell’Appartamento della Fenice, uccello quest’ultimo legato al mito della risurrezione e dell’immortalità.
Volta, Gloria del Paradiso (Francesco Maria Russo, 1749). Foto di Marco Ghidelli.
© Archivio Museo Cappella Sansevero
INFO
Per tutte le informazioni e i dettagli su quest’incredibile gioiello barocco nel cuore della città partenopea, consultare www.museosansevero.it