A cura di Finding Neverland Travel Blog
Isola di Lombok, Indonesia.
Chi, dopo aver visto uno dei film della trilogia “Ritorno al Futuro”, non ha mai sognato di viaggiare nel tempo? Se una vera e propria macchina del tempo non è ancora stata inventata, tuttavia girando per il mondo è possibile trovare luoghi che ci catapultano letteralmente in un’altra epoca. Per un tuffo in un passato fatto di natura incontaminata e antiche credenze basta visitare i villaggi sasak di Lombok, un’isola a est di Bali, che rispecchia più o meno la Bali di 50 anni fa, prima dell’arrivo dei grandi hotel e delle catene di ristorazione internazionali. Oggi il 90% della popolazione di Lombok è di origine sasak, anche se ormai ci sono solo pochi villaggi che vivono osservando ancora le vecchie tradizioni di questo popolo.
L’insediamento più antico si trova a Bayan, ai piedi del famoso vulcano Gunung Rinjani, nel nord dell’isola. Altri due tradizionali insediamenti sono vicino alla costa meridionale, non lontani dalle favolose spiagge di Kuta, un paesino di pastori e pescatori. Da qui, percorrendo una strada dissestata circondata da palme e banani, si raggiungono i sasak village di Sade e Rembitan, nascosti ai margini di una lunga strada che si fa largo tra infiniti pascoli verdi. La struttura del villaggio è semplice, le strade di fango e terra ospitano file ordinate di basse abitazioni con il tetto ricoperto di alang alang, una lunga erba verde. L’essenziale è tutto quello di cui gli abitanti hanno bisogno: l’interno delle case altro non è altro che una stanza dal pavimento in terra riempita di poche cose, un tavolo, una sedia, qualche immagine appesa e, alle volte, un materasso.
La costruzione maggiormente riconoscibile di questi villaggi è il lumbung, un granaio nel quale viene immagazzinato il riso due volte all’anno. La struttura è sorretta da travi in bamboo, il pavimento è fatto di fango secco misto a concime di bufalo e il tetto ha una particolare forma a cupola.
L’architettura delle abitazioni rispecchia lo stile di vita dei suoi abitanti, che sembrano non curarsi della modernità che si sta pian piano diffondendo nel resto dell’isola. Gli uomini di questi modesti villaggi sono principalmente pastori e pescatori. Le donne si dedicano ad attività manifatturiere e passano intere giornate sedute di fronte alla propria casa a cucire bellissime e coloratissime stoffe da vendere ai turisti. Molti sasak vivono ancora in questa situazione perché non hanno la possibilità economica di cambiare vita, ma soprattutto perché sono fedeli alle loro antiche – e a primo impatto un po’ anacronistiche – credenze.
Nonostante la religione originaria comprendesse molti elementi induisti, grazie anche alla vicinanza geografica della cultura balinese, oggi la maggior parte dei sasak sono islamici, in seguito alla pressante influenza degli abitanti dell’isola di Giava.
La varietà di influenze religiose ha portato alla formazione di un Islam un po’ particolare, nel quale convivono anche principi e usanze della vecchia religione induista.
La confusione in materia è evidente nei discorsi della gente del posto che spiega che “sull’isola c’è chi rispetta l’islam più ortodosso che prevede 5 preghiere al giorno (religione Waktu Lima) e chi invece pratica la versione che ne prevede solo 3 (religione Wetu Telu)”.
In realtà la religione Wetu Telu è diversa dall’Islam in molti principi esistenziali che la rendono una religione unica al mondo. Questi principi sono alla base delle motivazioni che spingono ancora alcuni sasak a perseguire il loro particolare stile di vita, legato alla natura. Secondo antiche credenze infatti, Dio garantisce un equilibrio tra il macro-cosmo (il mondo) e il micro-cosmo (gli essere viventi). Se le persone sono troppo avide e sfruttano la natura e gli animali, questo sottile equilibrio si spezza così come si spezza il legame sacro con Dio. Per gli abitanti dei villaggi sasak, adattarsi alla modernità e rompere l’armonia con la natura circostante rappresenta un distacco dai propri principi morali.
Anche l’amore è dettato da leggi particolari. Prendiamo il matrimonio ad esempio. Ecco, nella nostra cultura la proposta prevede la consegna di un anello, che solitamente viene nascosto sotto il cuscino, nel piatto del dessert o, nel migliore dei casi, dentro ad un calice di champagne. Nella tradizione sasak, un giovane innamorato invece, durante la notte deve “rapire” consensualmente la ragazza amata e sparire per un breve periodo insieme a lei. Al suo ritorno, si sarà conquistato il diritto di sposarla. Una vera e propria fuga d’amore quindi, quella che tutte le donne cresciute guardando ripetutamente” La bella addormentata nel bosco” probabilmente hanno sognato per anni.
Dunque ricapitolando, mentre noi parliamo di OGM, i sasak sono preoccupati di conservare il giusto rapporto con la natura per non comprometterla. Noi abbiamo l’anello nei profitterol e loro hanno il principe azzurro che rapisce la sposa. Noi abbiamo l’asfalto e i lampioni, mentre loro hanno le spiagge e le palme. Che si tratti di anacronismo o di paradiso perduto, una visita a un villaggio sasak è sicuramente un tuffo in un passato di valori e tradizioni bizzare che noi abbiamo dimenticato.
Francesca McClosey